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EL SALVADOR: NASCE La prima nazione Bitcoin in America Centrale

10/06/2021 . El Salvador ha approvato con successo (62 voti su 84) un disegno di legge senza precedenti che rende il bitcoin a corso legale nel paese, nonostante le pressioni del FMI. Il ddl approvato il 9 giugno 2021 specifica che le tasse possono essere pagate in bitcoin e la criptovaluta deve essere accettata come metodo di pagamento da qualsiasi commerciante locale ad eccezione di coloro che non hanno accesso alle tecnologie necessarie per ricevere le transazioni. “Lo scopo di questa legge è regolamentare il bitcoin come moneta a corso legale senza restrizioni con potere liberatorio, illimitato in qualsiasi transazione e a qualsiasi titolo che le persone fisiche o giuridiche pubbliche o private richiedono”, descrive il disegno di legge.

Poiché il bitcoin sarà riconosciuto come valuta ufficiale dopo l’entrata in vigore della legge, 90 giorni dalla sua approvazione e cioè dal 9 settembre di quest’anno, l’imposta sulle plusvalenze non si applicherà al bitcoin, proprio come a qualsiasi altra moneta a corso legale. Il presidente di El Salvador Nayib Bukele ha anche promesso la residenza permanente immediata per gli imprenditori cripto, aggiungendo che El Salvador è uno dei pochi paesi al mondo che non ha la tassa di proprietà.

Mentre le notizie storiche sull’adozione a livello nazionale di Bitcoin sono state acclamate sui social media, gli scettici hanno attirato l’attenzione sul fatto che l’infrastruttura per tale transizione potrebbe non essere ancora pronta. I portafogli mobili Lightning Network di Bitcoin mancano di “torri di guardia” per garantire la sicurezza dei fondi dell’utente in modo non detentivo, o richiedono una sorta di fiducia e KYC. Le commissioni di transazione on-chain sulla rete Bitcoin si aggirano attualmente intorno ai 4 Euro e possono aumentare notevolmente quando entriamo in un altro ciclo rialzista. Ad esempio, solo due mesi fa la commissione media ha superato i 50 Euro per transazione, secondo BlockChair .

La possibilità di utilizzare bitcoin invece di un sistema bancario tradizionale è una cosa, ma essere obbligati a ricevere bitcoin durante la congestione della rete con commissioni di transazione elevate è una storia completamente diversa. Sembra che la soluzione più semplice per molti fornitori sarebbe quella di utilizzare un broker che convertirà i bitcoin in valuta fiat una volta ricevuto il pagamento. Ciò dovrebbe proteggere i commercianti dalla congestione della rete e dalla volatilità dei prezzi, ma richiede un intermediario aggiuntivo con commissioni aggiuntive.

Vale la pena ricordare che nel 2001 la valuta nazionale di El Salvador è stata sostituita dal dollaro USA, il che significa che la sua banca centrale non può semplicemente stampare denaro per pagare la spesa pubblica in caso di deficit di bilancio.

Una mossa così audace da parte del paese centroamericano in rapida evoluzione può spingere altre nazioni più piccole della regione a riconoscere bitcoin come moneta a corso legale, con tutti gli occhi puntati sulle isole caraibiche cripto-friendly, molte delle quali usano il dollaro dei Caraibi orientali come valuta ufficiale.

IL SENATO APPROVA IL VALORE LEGALE DELLA BLOCKCHAIN – Il Sole24Ore

VALORE LEGALE DELLA BLOCKCHAIN E SMART CONTRACT: PRIMO VIA LIBERA AL SENATO –  da IL SOLE24ORE 

–di Alessandro Longo – 23 gennaio 2019

Ansa

Primo via libera alla norma – come emendamento al decreto Semplificazioni, ora al Senato – che inserisce per la prima volta nel nostro ordinamento le “tecnologie basate su registri distribuiti come la Blockchain” e una definizione di smart contract. Il primo aspetto è “la possibilità di dare un valore giuridico a una transazione che sfrutti un registro elettronico distribuito e informatizzato, senza passare da notai o enti certificatori centrali”, spiega Fulvio Sarzana, avvocato e membro del team degli esperti blockchain avviato dal ministero dello Sviluppo economico.

«La norma sullo smart contract invece dà a un contratto eseguito in automatico da un programma informatico il valore giuridico di un contratto normale, scritto e firmato», aggiunge Sarzana.

L’emendamento è stato approvato ieri dalle commissioni Affari costituzionali e lavori pubblici del Senato, primo firmatario Stefano Patuanelli (M5S). L’iter ora prevede il passaggio del decreto in Aula e poi alla Camera. Dopo che il decreto sarà stato convertito in legge, infine, l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) entro 90 giorni individuerà gli standard tecnici che i documenti informatici gestiti in questo modo devono rispettare affinché abbiano valore giuridico effettivo.
Gli effetti saranno molteplici, secondo gli esperti.

«Basterà mandare (con un servizio digitale) un documento a un registro informatico distribuito blockchain e lo renderemo un ‘super documento’ in grado di rivestire il ruolo di validazione temporale, di documento scritto e di identificazione delle parti – spiega Sarzana -. Sarà utile per esempio per registrare un’opera soggetta al diritto d’autore o per certificare i passaggi di filiera di un prodotto dell’agro-alimentare; proteggendo così il made in Italy, anche ai fini di anti-contraffazione. Secondo la norma, infatti, il registro distribuito basterà a certificare la data in cui quella transazione è avvenuta; laddove invece ora avremmo bisogno di un notaio o di una Pec».

«È un passaggio importante che l’Italia riconosca la piena validità giuridica delle transazioni operate su tali registri distribuiti e la capacità degli smart contract di soddisfare il requisito della forma scritta», aggiunge Marco Scialdone, avvocato e docente all’università Europea di Roma. «Questo significa – prosegue – che sarà possibile regolare attraverso uno smart contract su blockchain tutte quelle casistiche per le quali la legge richiede oggi che si debba procedere con un atto da farsi per iscritto. Avremo contratti che saranno conclusi ed eseguiti direttamente da macchine sulla base di ciò che è scritto nel loro codice informatico e a ciò l’ordinamento riconoscerà pieno valore».

«Si pensi ad esempio a un contratto di affitto di un immobile: potrà diventare esecutivo in automatico, con un programma informatico, che pure potrà prelevare – sempre in automatico – l’importo dal conto corrente dell’affittuario», aggiunge Sarzana.

L’Italia insieme al Sud Europa per lo sviluppo della Blockchain

Martedì, 04 Dicembre 2018

La notizia è di quelle che fanno ben sperare riguardo allo sviluppo e all’ utilizzo della rivoluzionaria tecnologia Blockchain anche nel futuro del Belpaese. Vi riporto direttamente quanto appare sulla pagina web del Ministero dello Sviluppo Economico. Rimane comunque l’affascinante dubbio di quali saranno i risvolti normativi nell’ambiente delle criptovalute ed in particolare del Bitcoin, indissolubilmente  legati proprio alla Blockchain.

L’Italia firma dichiarazione sullo sviluppo della Blockchain con i Paesi del MED7

 

Blockchain e tecnologie basate su registri distribuiti (DLT) possono giocare un ruolo determinante nello sviluppo di questi Paesi

immagine decorativa

Oggi l’Italia ha sottoscritto una dichiarazione sullo sviluppo della Blockchain nell’ambito del MED7, il gruppo costituito da sette Paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Francia, Malta, Cipro, Grecia e Portogallo).

Nella dichiarazione si riconosce come la Blockchain e, più in generale, le tecnologie basate su registri distribuiti (DLT) possano giocare un ruolo determinante nello sviluppo di questi Paesi. E’ necessario, pertanto, creare un coordinamento anche tecnico tra i Paesi, per sperimentare l’utilizzo di queste tecnologie e di quelle emergenti (5G, Internet of Things, AI).

Nei negoziati che hanno preceduto la firma della dichiarazione, l’Italia ha rimarcato come risulti determinante favorire la conoscenza e la sperimentazione delle tecnologie emergenti a tutti i livelli ed assicurare che, nella costruzione di una cornice giuridica di riferimento, venga garantito il mantenimento del loro carattere decentralizzato.

“Il nostro impegno è rivolto a rendere l’Italia un Paese leader nello sviluppo e nella sperimentazione della Blockchain, nel bacino Mediterraneo e in Europa. Al Ministero dello Sviluppo Economico abbiamo avviato delle sperimentazioni per la tutela del Made in Italy. I fondi stanziati con la legge di bilancio rafforzeranno queste sperimentazioni che accompagniamo con la creazione di una prima cornice giuridica di riferimento per la tecnologia Blockchain”, ha dichiarato il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio.

Intelligenza artificiale e blockchain: selezionati gli esperti

Giovedì, 27 Dicembre 2018

Elaboreranno la strategia nazionale sull’intelligenza artificiale e la strategia nazionale in materia di tecnologie basate su registri condivisi e blockchain

 

 

Si sono concluse le selezioni per i Gruppi di esperti di alto livello che insieme al Ministero dello Sviluppo Economico elaboreranno la strategia nazionale sull’intelligenza artificiale e la strategia nazionale in materia di tecnologie basate su registri condivisi e blockchain.

Le selezioni sono state effettuate in base ai criteri, riportati nell’avviso, di competenza ed esperienza comprovate e strettamente pertinenti, anche a livello europeo e/o internazionale, nell’ambito dei relativi settori di intelligenza artificiale e tecnologie basate su registri distribuiti e blockchain e nelle loro applicazioni, comprese le competenze di chiara rilevanza in ambito tecnologico, imprenditoriale, giuridico e scientifico; nonché la comprovata capacità di rendere note efficacemente le esigenze e le istanze degli stakeholder o dell’organismo di riferimento.

Il MISE ritiene priorità fondamentale per il nostro Paese conoscere, approfondire e affrontare il tema dell’Intelligenza artificiale e delle tecnologie basate su registri distribuiti e blockchain, nonché aumentare gli investimenti pubblici e privati in tale direzione e nelle tecnologie strettamente connesse alle stesse, come già espresso nelle linee programmatiche presentate dal Ministro Luigi Di Maio.

Per assicurare trasparenza e poter beneficiare della massima condivisione e del contributo dell’intera comunità di interesse, le Strategie Nazionali Intelligenza artificiale e Blockchain, una volta elaborate, saranno poi sottoposte a consultazione pubblica.  La prima riunione degli esperti selezionati si terrà nel mese di gennaio 2019.

Il Ministro Luigi Di Maio ha dichiarato: “Le numerose e qualificate manifestazioni di interesse pervenute nell’ambito della selezione dei Gruppi di esperti dimostrano il patrimonio di conoscenze ed esperienze che abbiamo in Italia sulle tecnologie emergenti.  Ringrazio tutti coloro i quali hanno manifestato la propria disponibilità e sono certo che insieme agli esperti selezionati sapremo costruire delle Strategie cruciali per lo sviluppo del nostro Paese all’insegna dell’innovazione”.

Qui link per accedere agli elenchi degli esperti

Babilonia fiscale: i Bitcoin meglio non dichiararli

Aggiornamento del 21 maggio 2018 – da Il Sole 24 Ore (leggi in fondo al presente articolo)

24 aprile 2018 – da Il Sole 24 Ore  – Coinlex

Alcuni giorni fa è uscito un nuovo parere dell’Agenzia delle Entrate (ricordando che vale esclusivamente per il richiedente e non è vincolante per lo stesso, ma solo per l’AF) in risposta ad un interpello ( 956.39/2018 ) di un privato cittadino che , dopo aver acquistato criptovalute nel 2013, le ha successivamente convertite in oro fisico e chiedeva in merito alla tassazione delle operazioni di cambio di bitcoin con euro e se l’acquisto dell’oro con i bitcoin generasse una plusvalenza fiscalmente rilevante.

Vi riporto l’articolo di commento scritto dall’amico dott. Capaccioli in cui si rilevano diverse incongruenze tra questo  parere e la nuova direttiva europea antiriciclaggio.

“Avvicinandosi la stagione dichiarativa, uno dei temi più controversi è l’indicazione nel quadro RW delle criptovalute. È di pochi giorni fa l’interpello (n. 956-39/2018) con cui le Entrate hanno affermato che le criptovalute «devono essere oggetto di comunicazione attraverso il quadro RW». Secondo l’Agenzia, il dato va indicato alla colonna 3 («codice individuazione bene») con il «14» («Altre attività estere di natura finanziaria»). Il controvalore in euro della valuta virtuale, invece, va determinato al 31 dicembre del periodo di riferimento, al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente l’ha acquistata (si veda Il Sole 24 Ore del 21 aprile).
La risposta delle Entrate, però, non convince. Occorre partire dal fatto che, in base a quanto dispone l’articolo 4 del Dl 167/1990, il quadro RW del modello dichiarativo va compilato in caso di detenzione nel periodo d’imposta di «investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia».
La «chiave» esclude l’obbligo
Se, in qualche modo, rispetto alle norme sul monitoraggio fiscale, le criptovalute possono essere considerate – sotto il profilo oggettivo, attività di natura finanziaria – la questione va vista sotto il profilo territoriale, considerando che si deve trattare di «attività estere». Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non stanno né in Italia né all’estero. Si può dire, in termini semplicistici, ma comunque fattuali, che le criptovalute stanno nella “rete” (di fatto, nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale.
Si consideri ulteriormente la questione sotto il profilo sanzionatorio. La norma (articolo 5 del Dl 167/1990) stabilisce che la violazione dell’obbligo dichiarativo è punita con la sanzione dal 3 al 15% degli importi non indicati, penalità raddoppiata nel caso le attività siano detenute nei Paesi black list. Certamente si può sostenere che l’entità ordinaria della sanzione risulta quella dal 3 al 15% e che il “raddoppio” della stessa opera esclusivamente, come deroga, nella particolare ipotesi di detenzione delle attività nei Paesi a fiscalità privilegiata. Con la conseguenza che, non potendosi individuare la detenzione delle criptovalute – posta la loro a-territorialità – nei Paesi a fiscalità privilegiata (con l’ulteriore conseguenza dell’inapplicabilità della presunzione di cui all’articolo 12 del Dl 78/2009), si applicherebbe comunque, in caso di omessa indicazione dei coin, la penalità ordinaria dal 3 al 15% del valore non indicato (si tralascia la problematica della loro quantificazione).
Ma è evidente che si tratta, in ogni caso, di una conclusione forzata, posto che l’aspetto sanzionatorio risulta “naturalmente” collegato all’ubicazione territoriale delle attività, le quali devono risultare detenute all’estero, mentre le criptovalute, come si è detto, nella maggioranza dei casi non possono essere ritenute tali.
Si può così giungere alla conclusione che l’obbligo di indicazione nel quadro RW non sussista ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.
«Custodi» esteri e RW 
Diverso potrebbe essere solo il caso in cui il contribuente residente non abbia la disponibilità della chiave privata e si avvalga dei cosiddetti custodial wallet. Occorre premettere che, diversamente da altre disposizioni del Dl 167/1990 in cui vengono richiamate talune norme in materia di antiriciclaggio (si pensi al richiamo ai cosiddetti exchanger di cui all’articolo 3, comma 5, lettera i, del Dlgs 231/2007, contenuto nell’articolo 1 del decreto sul monitoraggio fiscale), la norma esclude dall’obbligo dichiarativo del quadro RW le attività detenute all’estero qualora i redditi derivanti da tali attività vengano assoggettati a ritenuta o a imposta sostitutiva da parte di intermediari residenti. Cosa che, evidentemente, non avviene per le criptovalute.
Dal che se ne deduce che l’indicazione nel quadro RW può sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet, se quest’ultimo risulta soggetto residente o domiciliato all’estero. L’indicazione non avrebbe senso, invece, per le criptovalute gestite attraverso custodial residenti in Italia, venendo a mancare ogni legame con l’estero (anche considerando il prossimo obbligo di iscrizione presso l’Oam dei soggetti operanti in criptovalute).
In definitiva, finché la questione non verrà regolata normativamente, sono queste le soluzioni che paiono più appropriate, nonostante il parere contrario delle Entrate.
L’indicazione senza Paese
Peraltro, la risposta all’interpello non affronta il problema dell’indicazione nel quadro RW del Paese estero. Risulterebbe un ossimoro, una sorta di “asset apolide”, la compilazione del quadro RW senza l’indicazione dello Stato estero.
L’esclusione dall’Ivafe 
Da ultimo, va rilevato che la risposta all’interpello afferma che la detenzione delle valute virtuali non è soggetta all’Ivafe, in quanto tale imposta va applicata soltanto ai depositi e conti correnti di “natura bancaria”.

In definitiva quindi, basta detenere le proprie criptovalute su un wallet di cui si possiedono le chiavi per non  essere soggetti a tassazione, nè all’obbligo di trascrizione sul quadro RW, come quando le valute straniere possedute siano tenute in cassaforte, e non presso istituti bancari esteri. 

Tra le altre ed oltre tutto, ecco cosa emerge in un altro articolo a firma di Dario Deotto:

“L’Agenzia, nella risposta all’interpello n. 956-39/2018, afferma che alle persone fisiche “private” che detengono criptovalute si applicano – ai fini della tassazione reddituale – le regole riguardanti le valute estere. Si conferma così un breve passaggio (si tratta di due righe del documento) della risoluzione 72/E/2016 delle Entrate.
Il fatto è, però, che l’assimilazione alle valute estere porta ad applicare tutta la disciplina prevista dagli articoli 67 e 68 del Tuir. La norma (in questo caso la lettera c-ter dell’articolo 67) ritiene espressiva di un’attività di investimento, con presunzione assoluta di legge – che non ammette prova contraria – il (semplice) prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti.
Tale previsione è in parte attenuata dal successivo comma 1-ter dell’articolo 67, con il quale viene stabilito che le plusvalenze generate dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che – nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate – la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui.
Il connubio di queste due previsioni, se applicate alle criptovalute, porta a conseguenze rilevanti.
Infatti, va considerato che è il semplice prelievo dal «deposito o conto corrente» che genera per presunzione assoluta di legge, seppure “edulcorata” dalla previsione del comma 1-ter, materia imponibile, che poi deve essere determinata con le regole del successivo articolo 68 (comma 6 e comma 7, lettera c). Tant’è che la risposta all’interpello afferma la rilevanza reddituale di ogni prelievo considerando l’insieme dei wallet detenuti dal contribuente, per i quali sia stata superata la giacenza media in euro di 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi. E questo a prescindere dall’intento speculativo, ma anche per il semplice acquisto di un bene (nel caso dell’interpello si trattava dell’oro, ma potrebbe anche trattarsi, per assurdo, di una pizza).
Tutto ciò porta a delle conclusioni davvero irrazionali. Il fatto è che il wallet non può in alcun modo essere considerato «deposito o conto corrente».
L’errore sta però alla base: quello di assimilare le criptovalute alle valute estere. Il concetto di valuta ha sempre un collegamento con uno Stato o un gruppo di Stati, che non necessariamente la emettono, ma la riconoscono legalmente come mezzo di scambio.
Tutto ciò evidentemente non accade per le criptovalute, tant’è che anche la normativa antiriciclaggio interna (Dgls 231/2007) si affranca da una classificazione delle monete virtuali come valute estere, stabilendo che si tratta di rappresentazione di valore «non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale».
Così che il trattamento di eventuali plusvalenze derivanti da un loro impiego come strumento di investimento deve seguire altre strade. Una ipotetica è quella di considerare i coin «titoli non rappresentativi di merce» (lettera c-ter dell’articolo 67), tra i quali rientrano, ad esempio, le cambiali finanziarie e i certificati di deposito.
Il fatto è che nel concetto di «titoli non rappresentativi di merce» ricadono tutti quelli che non sono rappresentativi di una partecipazione al capitale o al patrimonio di un ente collettivo, ma occorre comunque che vi sia un emittente del titolo, cosa che non si avvera per le criptovalute.
Così, non potendosi inquadrare eventuali proventi tra i «redditi» di cui alla lettera c-quater dell’articolo 67 – che attiene i contratti derivati o altri contratti a termini di natura finanziaria – la soluzione più plausibile è che eventuali plusvalenze vengano assoggettate a tassazione come redditi diversi in base all’articolo 67, comma 1, lettera c-quinquies del Tuir, posta la funzione di “chiusura” di tale disposizione (circolare 165/E/1998) rispetto alle precedenti lettere c-ter e c-quater. Il problema è che questa conclusione comporta la non rilevanza reddituale di eventuali minusvalenze.”

Il che significa che anche volendo a tutti i costi considerare le criptovalute tassabili, assodato che generino “guadagni” nelle condizioni e nel periodo reddituale di cui sopra, al contrario non potrebbero essere annoverate come  detraibili a livello di tassazione, nel caso che alle stesse condizioni, generassero “perdite” .

Concludendo si conferma quindi quanto esposto nel titolo di questo mio intervento: le criptovalute non sono e non saranno per loro natura facilmente inquadrabili fiscalmente e quindi meglio astenersi dal dichiararle .

Altri eventuali approfondimenti li potete leggere QUI             

Aggiornamento del 21 maggio 2018 – da Il Sole 24 Ore

La tassazione dei bitcoin e i paradossi delle Entrate

di Dario Deotto e Paolo Luigi Burlone

Si è più volte cercato di rappresentare su queste pagine che la vagheggiata certezza del diritto è argomento buono “per le masse”; in realtà, il diritto è strutturalmente incerto per “natura”. Il diritto, peraltro, ha sempre rincorso la tecnica. È un po’ come la questione del doping e dell’antidoping: il primo è senz’altro più evoluto del secondo. Così è il rapporto tra diritto e tecnica: il diritto è, da sempre, destinato a rincorrere la tecnica. Si pensi alla questione delle criptovalute, alla quale si vorrebbero dare delle soluzioni utilizzando strumenti desueti, che non possono affatto cogliere l’essenza del fenomeno stesso.
In alcune occasioni, le Entrate hanno assimilato le operazioni legate alle criptovalute a quelle relative alle valute estere (si veda tra l’altro Il Sole 24 Ore del 23 aprile). Tuttavia, come si è già riportato, una valuta estera ha sempre un collegamento con uno Stato o con un gruppo di Stati, che non necessariamente la emettono, ma la riconoscono legalmente come mezzo di scambio.
Occorre poi considerare che l’unica norma di legge nazionale che ha regolato il fenomeno delle criptovalute è quella antiriciclaggio (Dlgs 231/2007), con la quale è stato stabilito che le valute virtuali consistono in una «rappresentazione digitale di valore non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Peraltro, nella recente V direttiva antiriciclaggio, ancora più chiaramente, viene affermato che le valute virtuali non possiedono «lo status giuridico di valuta o moneta». In sostanza, dalla normativa antiriciclaggio emerge la chiara incompatibilità tra il concetto di criptovaluta e quello di valuta estera.
Eppure, sotto il profilo reddituale si vorrebbero applicare alle criptovalute le regole di tassazione – per persone fisiche “private” – previste per le valute estere (lettera c-ter dell’articolo 67 del Tuir). In base a tale previsione, realizzano redditi diversi le plusvalenze relative a valute estere oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti. La norma fissa come presunzione assoluta di legge – che non ammette prova contraria – il (semplice) prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti, ritenuto espressivo di capacità contributiva. A tal fine, andrebbe però considerato che, come più volte la Consulta ha stabilito, le presunzioni assolute in relazione ai tributi erariali risultano vietate (quindi sono incostituzionali), in quanto il contribuente deve avere la possibilità di fornire la prova contraria circa la propria “attitudine contributiva”. Ulteriormente andrebbe considerato che il concetto di “conto o deposito” non può essere esteso al wallet, il quale non memorizza né contiene criptovalute (non c’è alcun saldo); si tratta semplicemente di un software (o hardware) che crea e memorizza le chiavi private associate a quelle pubbliche.
Ancora, va rilevato che la norma (comma 1-ter dell’articolo 67) stabilisce che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui. Se applicata alla criptovalute, si tratta di una disposizione che dimostra tutti i suoi limiti.
Basta fare un esempio. Si consideri il caso di Tizio che a inizio 2017 deteneva 6.200 ether (cambio di inizio periodo circa 7 euro cad.) e che li ha venduti a fine 2017 a 700 euro per ogni ether, incassando oltre 4 milioni di euro. Ebbene, considerando ether «valuta estera», si avrebbe che, utilizzando il “cambio” al 1° gennaio 2017, Tizio, pur realizzando una ingentissima plusvalenza, ne eviterebbe la tassazione.
Inoltre, in un contesto davvero “vivace”, va considerata la quasi impossibile applicazione del cambio vigente all’inizio del periodo d’imposta (articolo 67, comma 1-ter), per tutte quelle Ico sorte nel corso dell’anno: si pensi alle molte “nate” nel corso del 2017.
Questo conferma ulteriormente la inadeguatezza dell’interpretazione che vorrebbe assimilare il trattamento tributario delle criptovalute alle valute estere (contenuta tra l’altro nell’interpello 956-39/2018). Se fosse realmente così, la rincorsa del diritto alla tecnica sarebbe davvero tutta in salita.

Il Parlamento Europeo vota la fine dell’anonimato per il Bitcoin

Tratto da ITALIA OGGI – 19/04/2018 14:24

Regolamentazione più rigida sulle monete virtuali come il Bitcoin per evitare che siano utilizzate per il riciclaggio di denaro e il finanziamento al terrorismo.
parlamento Ue

I prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale per le valute virtuali dovranno applicare, come già succede per le banche, controlli di due diligence e requisiti di verifica sulla propria clientela, per porre fine al regime di anonimato associato alle valute virtuali. Anche queste piattaforme e questi prestatori di servizi dovranno essere registrati, così come i cambiavalute e gli uffici di incasso degli assegni, nonché i fornitori di servizi per aziende e società fiduciarie.   Arriva con l’approvazione della quinta direttiva, da parte del parlamento europeo, la risposta Ue e la prima regolamentazione organica in tema di criptovalute. Ieri, infatti, il parlamento europeo ha approvato con 574 voti a favore, 13 voti contrari e 60 astensioni, in via definitiva la V direttiva antiriciclaggio, il provvedimento entrerà in vigore tre giorni dopo la pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’unione europea. Gli stati membri avranno successivamente, 18 mesi di tempo per trascrivere le nuove norme nelle rispettive legislazioni nazionali. Per l’Italia un lavoro in un certo senso semplificato, visto che molte novità

contenute nella direttiva sono già state regolamentate con l’approvazione della Quarta direttiva,in vigore in Italia con il dlgs 90/17 (nuova disciplina antiriciclaggio).

– Cristina Bartelli

COMMENTO:

Di fatto questo non cambia assolutamente nulla rispetto all’operatività dei cambiavalute più seri e professionali (tra cui anche il sottoscritto) che fin qui hanno operato  in un ambiente assolutamente non regolamentato e  proprio per questo, essendo totalmente indifesi, devono mettere in atto forme piuttosto arcigne di adeguata verifica del cliente ( spesso un semplice contatto on line attraverso chat o email)  per proteggersi da eventuali e possibili truffe, soprattutto per quanto riguarda i pagamenti on line in valuta fiat,  i quali, vale la pena ricordare, sono sempre reversibili fino a 180 gg  mentre i Bitcoin sono irreversibili come il denaro contante.

Ecco in questi casi, l’esempio di cosa viene richiesto, prima ancora di procedere alla transazione, al cliente che vuole acquistare Bitcoin o altre criptovalute  con metodi di pagamento digitali :

Selfie con documento di identità leggibile e foglio riportante una frase e la data odierna e  lo screenshot della pagina profilo titolare del mezzo di pagamento online con cui il cliente intende pagare. Ovviamente tutti i dati devono corrispondere.

Si tratterebbe quindi, per i suddetti cambiavalute, di capire  quali siano limiti e procedure di archiviazione dei dati dei clienti, ma  la normativa italiana non è stata attualmente completata dalla promulgazione di regolamenti attuativi rendendo così impossibile il recepimento  e la messa in vigore effettiva dell’intera normativa. 

C’è inoltre da sottolineare che , con tale  regolamentazione, il  cambiavalute virtuale, essendo soggetto primario responsabile di adeguata verifica sul cliente finale (dlgs 90/17 ), ricopre per obbligo di legge un ruolo attualmente svolto dagli istituti bancari, i quali pertanto non dovranno avere più alcuna ragione per rifiutare l’erogazione di servizi quali ad esempio l’apertura di conti correnti ( come avviene anche tutt’oggi) e permettere così agli operatori di esercitare liberamente la propria attività. 

Per concludere quindi, finchè tali regolamenti non saranno approvati e promulgati, la situazione sostanzialmente non cambia ed ognuno opera solo a propria esclusiva tutela. 

gavrilo

In Italia il Bitcoin si ammazza con la burocrazia, come le imprese…

Non è una novità, già si sapeva, ma tutta questa fretta di monitorare e regolamentare ciò di cui nessuno sente il bisogno e che per giunta possiede già le sue regole scritte in un algoritmo matematico, non è solo inopportuna, ma anche sospetta. Quale bisogno ed urgenza infatti abbia il Ministero  dell’Economia e delle Finanze italiano   di indire   consultazione pubblica fino al 16 febbraio 2018 prima di emettere un decreto che , visto le elezioni incombenti nemmeno due settimane dopo e le tempistiche di insediamento di un nuovo governo che chissà, se e quando vedrà la luce ( e se sarà interessato a normare tale ambito), suscita molti dubbi ed alcune certezze.  Dubbi su opportunitò, tempistiche, utilità ed efficacia di un tale strumento normativo (per ora solo bozza di decreto), e la certezza che in Italia la burocrazia è il mostro vessatorio e liberticida che reprime il raggiungimento del legittimo benessere economico di imprese e cittadini. Mi piacerebbe infatti che i favolosi burocrati del Ministero spiegassero per quale motivo e quale vantaggio si dovrebbe avere ad autodenunciarsi come prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, far censire il fenomeno e far attuare eventuali indagini per casi di riciclaggio di denaro o altri illeciti, posto come detto e ripetuto che bitcoin e criptovalute, proprio per loro caratteristiche peculiari, non si prestano affatto ad essere comodi strumenti di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo. Ma evidentemente e come spiegato più volte su questo blog normare serve a riportare nelle mani di pochi quel potere finanziario e valutario che il bitcoin ha distribuito liberamente nelle mani di tutti.

Per questo motivo già  il decreto legislativo numero 90 del 25 maggio 2017 e l’introduzione della figura del cambiavalute virtuale (già la definizione è di per se ridicola), soggetto primario e responsabile di controlli antiriciclaggio, di per sè va contro alle chiare parole espresse da Mario Draghi come presidente della Banca Centrale Europea in relazione alla possibilità che Stati aderenti alla moneta unica Euro possano legiferare su valute (virtuali, criptate e non) in mancanza di direttive europee specifiche sull’argomento.

Adesso, invece di occuparsi degli sprechi delle pubbliche amministrazioni e della sovrabbondanza deleteria e dispendiosa per le tasche dei cittadini italiani, di nullafacenti impiegati statali ( il Ministero delle Finanze è uno degli esempi più fulgidi e pregni), si vuole che il cittadino , collezionista di criptovalute o l’azienda che accetta pagamenti in Bitcoin , si autodenunciasse, comunicasse tali attività via PEC ( ma sono obbligato come privato cittadino ad averla??) e ci si iscrivesse in un apposito registro OAM allo scopo di favorire eventuali indagini della Guardia di Finanza e Polizia Postale  e domani sicuramente della Agenzia delle Entrate. Definire tutto ciò terrorismo fiscale degno delle migliori dittature stataliste è , secondo  parere diffuso,  persino banale.

Ancora non si vuole imparare copiando i migliori esempi, visto anche la difficoltà intrinseca che le criptovalute presentano ad essere associate effettivamente al loro proprietario, incentivando invece epiuttosto una pacifica emersione del fenomeno e quindi il suo sviluppo tecnologico e la sua diffusione. Basterebbe infatti assicurare gli operatori rispetto alla possibilità di  lavorare supportati dal sistema bancario, invece del contrario come succede oggi grazie anche a circolari emesse dalla Banca d’Italia negli anni precedenti. Le banche dovrebbero infatti essere obbligate da tale decreto a fornire strumenti adeguati agli operatori che svolgeranno il lavoro  al loro posto, quello dei controlli antiriciclaggio. Non solo ed invece di comunicazioni, registrazioni, utilizzo di PEC e perdite di tempo accessorie, molto banalmente basterebbe aggiungere un riquadro specifico nei moduli di dichiarazione dei redditi di privati e imprese per raggiungere il medesimo risultato che il legislatore si propone, quello di monitorare il fenomeno.  Tutto ciò e moltro altro si evince dall’articolo qui sotto di Cointelegraph che qui sotto vi riporto.

Come sempre, buona lettura!!

Seminario Criptovalute in CCIIAA a Udine e la strana voglia di regole

Venerdi pomeriggio scorso, 23 febbraio 2018,  c’è stato (finalmente) un seminario su criptovalute e Blockchain presso una sala, troppo piccola per l’occasione,  della sede della Camera di Commercio di Udine  . L’iniziativa è stata molto apprezzata dai partecipanti accorsi numerosi, come riportato dal comunicato stampa della CCIIAA qui sotto, e gli interventi dei relatori forse un po’ troppo tecnici per il pubblico variegato presente .  Non entro troppo nei particolari anche perchè potete seguire tutta l’iniziativa direttamente dal video youtube a fondo pagina e farvi la vostra opinione, e un doveroso ringraziamento va ai relatori, preparati e sufficientemente esaustivi per il contesto, ma ci terrei a sottolineare alcune cose che ho riscontrato e le riflessioni fatte, anche dopo aver letto oggi un interessante articolo su un blog .

Perchè anche durante questo seminario i professori e “gli esperti” hanno insistito sul pericolo di criminalità legata all’uso delle criptovalute e  sulla necessità di creare  leggi su qualcosa che ha già le regole infallibili  e necessarie  scritte in un algoritmo matematico?

E’ ormai chiaro che a quasi 10 anni dalla loro invenzione ( il libro bianco di Satoshi Nakamoto viene pubblicato nell’ottobre del 2008) Bitcoin , Blockchain e 1500 criptovalute sul mercato oggi, con un valore complessivo pari a quello del PIL dell’Olanda, non possono essere più ignorate dalle istituzioni a qualsiasi livello e, visto che la gente comune se n’è accorta già da un po’ e sta cominciando ad utilizzarle  sempre di più , si cerca in qualche modo di correre ai ripari, anche se magari pochi si rendono conto che nulla sarà come prima e che ormai siamo entrati in una fase 3.0 di sviluppo tecnologico generale.  Si consideri quindi il Bitcoin come la prima manifestazione di questo nuovo sviluppo tecnologico con le  3 caratteristiche fondamentali:

  • E’ DECENTRALIZZATO
  • E’ FEDERATO
  • E’ IPER-RESILIENTE

Essendo decentralizzato, non ha e non richiede un potere centrale  che lo governi (una disintermediazione mortale per chi è abituato a trarre vantaggi enormi dal signoraggio e dalla sua posizione di regolatore) , ma necessita  di essere federato per sfruttare tutta l’enorme potenza di calcolo sommata dei dispositivi degli utenti che usano le nuove applicazioni e, come abbiamo notato in questi anni ,  soprattutto nell’ultima ondata speculativa dello scorso dicembre/gennaio, è iper resiliente . Significa che il numero di utenti detti “early users”, i quali non smetteranno MAI di prestare la loro opera per tenere in piedi la rete, e’ superiore a quello sufficiente per tenere in piedi la rete (nel caso di bitcoin il numero e’ sovrabbondante). I dark market sono piu’ che sufficienti, in termini di cash flow, per tenere in piedi sia il mining che il trading. Potete fare speculazioni e far andare su e giu’ il valore quanto volete, ma tanto la rete non cade.

“Chiaramente, della terza caratteristica “i maghi della finanza” non avevano idea, e ce l’hanno ora: ci hanno rimesso un sacco di soldi in questa ultima  speculazione (per la semplice ragione che nessun exchanger ufficiale aveva abbastanza cash da farli vendere Bitcoin al ritmo che si illudevano di tenere), per cui quando hanno causato il ribasso artificiale del valore, non sono riusciti a sbarazzarsene abbastanza in fretta: traders ed exchangers hanno dato forfait. Del resto, il gioco di questi signori e’ di fare scalping su un prezzo,essendo quelli che decidono il prezzo” E con il  Bitcoin  non possono, così gli è andata buca per l’ennesima volta!

Adesso ovviamente metteranno in scena tutti i trucchi del caso. Siccome possiedono i giornali e i media, inizieranno con la propaganda.

E quindi si ripete lo schema già usato per le BBS degli ultimi anni ottanta, per l’internet dei primi anni novanta ed anche per il web 2.0 (quello dei social network come facebook, twitter ecc): cercano di denigrare e infangare dicendo:

  • Che ci  sono i maniaci sessuali e i pedofili.
  • Che ci sono i mafiosi e i delinquenti.
  • Che ci sono i terroristi.
  • Che ci sono gli evasori fiscali.
  • Che fa male ai giovani.

Tra 5- 10 anni useremo tutti dei servizi decentralizzati e federati. Questo produrra’ la caduta di alcune grandi aziende e la nascita di altre star, cioe’ quelli che creano i servizi e riescono a farci i soldi con un modello di business legato al client, o legato alla criptomoneta, o legato alla mediazione, come capita su OpenBazaar, ove gli arbitri hanno una percentuale sulle transazioni (e un rischio nella mediazione dei conflitti). O magari nasceranno altri modelli di business, ma la cosa certa e’ che , come e’ sempre successo, non saranno le chiacchiere , la diffamazione ed il terrorismo mediatico a fermare una nuova onda di applicazioni “disruptive”.

Perche’ alla fine le criptomonete , che vi piaccia o meno, sono arrivate e resteranno.

Anche tutta questa voglia di regolarle (BEN PRESENTE AL SEMINARIO DI CUI STIAMO PARLANDO) non cambia niente, e non puo’ cambiare niente. Chi sta operando contro questa rivoluzione già in atto lo fa in modo da ottenerne la “regolazione”, cioe’ vuole che ci siano leggi ad hoc. Queste leggi, guarda caso, cercheranno di portare queste tecnologie nelle mani di pochi. Quindi tutti vogliono “regolare le criptomonete”: queste persone pero’ stanno fallendo nell’indicare le leggi, nel dire come dovrebbero essere queste leggi, per una semplice ragione:

in Germania ci sono circa 68 milioni di cellulari smart che hanno almeno una CPU con 4 core. Se domani per fermare una qualche applicazione diffusissima si dovesse fare una legge che obbliga a centralizzare, chi diavolo costruisce un data center con la potenza equivalente di 272 milioni di core, 136Exabyte di Ram, e 544Exabyte di storage? Tralasciamo la fattibilita’, ma chi paga per il mostro?

Se chi fa un software decentralizzato decide di essere stronzo e di usare perbene le risorse del cellulare, centralizzare una simile potenza di calcolo non e’ possibile. Certo, sicuramente questi software non useranno il 100% delle risorse dei cellulari. Ma anche usandone una frazione, le cifre in gioco sono cosi’ alte che nessuno potrebbe sostituire la potenza in gioco con un server centrale. Se oggi volessimo costruire un datacenter che assommi tutta la potenza a disposizione di Bitcoin solo contando thin clients, nodi e supernodi (e non voglio nominare i miners con macchine dedicate), saremmo nella top500 di sicuro, e forse nella top100 dei supercomputer. Chi paga?

Per questa ragione, tutti stanno invocando il regolatore, ma nessuno riesce a dire in che modo centralizzare questa roba per farci i soldi. Queste tecnologie non sono difficili da centralizzare per via del design (qualcuno si illude di poterle centralizzare facendo delle modifiche al software), ma sono difficili da centralizzare perche’ sfruttano la potenza dei client, che sono troppi. La potenza di calcolo oggi e’ sbilanciata verso gli utenti in maniera mostruosa: e contro questo fatto fisico c’e’ davvero poco che il programmatore possa farci. Chi sviluppa un’applicazione decentralizzata e federata ha a disposizione potenze di calcolo inarrivabili.

Questo vi spiega anche per quale ragione Facebook, Twitter , Amazon, e tutti quanti si siano uniti nella guerra contro bitcoin: di per se’ il Web 3.0 suona per loro la campana a morto.

(la parte in corsivo è tratta  da un articolo del  blog  Böse Büro  keinpfusch.net,  che invito tutti a leggere integralmente QUI)

BITCOIN REGULATION – LE LOBBY FINANZIARIE AFFILANO LE UNGHIE

Gli ultimi attacchi hacker e le ingenti perdite di criptovalute su mercati non regolamentati quali sono oggi le piattaforme exchanger, insieme all’aumento generale del valore di mercato di questo settore che dopo esser passato dagli oltre 800 miliardi di dollari di dicembre scorso ai 400 miliardi di controvalore attuali destando l’interesse non solo degli investitori a livello globale, ma anche quello dei regolatori mondiali che pare si siano fissati nell’indicare il 2018 come l’anno della regolamentazione per il mondo delle criptovalute. Insomma, la torta è veramente appetitosa e ci devono mettere le grinfie sopra a qualsiasi costo, anche se personalmente dubito, per la natura stessa delle criptovalute, che  ci riescano in modo efficace.

E’ in questo contesto che si inquadrano due freschi interventi a tal proposito. Il primo di cui vi riporto è di Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario Internazionale, che ha dichiarato che l’azione normativa internazionale sulle criptovalute è “inevitabile”. Lagarde, che è l’amministratore delegato dell’organizzazione internazionale che mira a promuovere la stabilità finanziaria globale, ha affermato che le preoccupazioni del FMI sulle criptovalute derivano in gran parte dal loro potenziale uso in attività finanziarie illecite. In un’intervista rilasciata a CNNMoney l’11 febbraio, ha affermato: “Stiamo attivamente contrastando il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, e ciò rafforza la nostra determinazione a lavorare su queste due direzioni”. Lagarde ha inoltre spiegato che la direzione normativa dovrebbe essere basata sulle attività di scambio, concentrandosi su “chi sta facendo cosa, e se sono adeguatamente autorizzati e supervisionati”. Mentre i nuovi commenti sono in gran parte in linea con le già pubbliche vedute di Lagarde sulla criptovaluta, indicano che il FMI potrebbe muoversi per essere più attivamente coinvolto nella prevenzione dell’uso illecito della suddetta. In più occasioni, Lagarde ha precedentemente avvertito che le criptovalute dovrebbero essere prese sul serio e ha richiesto la cooperazione tra i regolatori di tutto il mondo. E lei non è la sola a esprimere preoccupazioni sull’uso della criptovaluta nei crimini finanziari transfrontalieri. Secondo un precedente rapporto di CoinDesk, durante il Forum economico mondiale di Davos a fine gennaio, diversi leader mondiali hanno condiviso lo stesso sentimento, tra cui il primo ministro britannico Theresa May, il presidente francese Emmanuel Macron e il segretario del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti Steven Mnuchin. E, proprio la scorsa settimana, alti funzionari di Francia e Germania hanno chiesto al gruppo di nazioni del G20 di discutere di un’azione cooperativa sulle criptovalute in vista di un vertice il prossimo mese.

Il secondo intervento  proviene da tre regolatori europei con controllo su titoli,  banche e  pensioni che hanno emesso oggi un avvertimento congiunto ai residenti della UE intenzionati ad investire in criptovalute. Citando la volatilità dei mercati crittografici, la mancanza di regolamentazione e il potenziale di gravi perdite, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), l’Autorità bancaria europea (EBA) e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) hanno scritto una breve nota agli investitori sugli “alti rischi di acquistare e / o detenere le cosiddette valute virtuali”. Collettivamente denominate (ESA), le autorità europee di vigilanza  affermano l’ esistenza di un “alto rischio” che gli investitori possano perdere tutti i loro fondi se scelgono di investire in criptovalute, specificando che esiste attualmente una bolla apparente nei mercati . Hanno continuato, scrivendo: “Le VC (valute virtuali) e gli exchanger in cui i consumatori possono effettuare scambi di criptovalute non sono regolamentati dal diritto comunitario, il che significa che i consumatori che acquistano VC non beneficiano di alcuna protezione associata ai servizi finanziari regolamentati. Essendo fuori dal mercato regolamentato, per  i consumatori a cui sono stati rubati i soldi perché il loro conto VC è stato soggetto ad un attacco informatico, non esiste una legge dell’UE che copra le loro perdite “. L’avvertimento menziona esplicitamente bitcoin, ethereum, litecoin e XRP, notando inoltre che altre criptovalute vengono spesso vendute senza alcuna informazione che spieghi il loro background o i rischi nell’acquisto. Parte del rischio, afferma l’ESA, deriva dalla difficoltà di acquistare o vendere criptovalute a causa di ritardi nelle transazioni. Gli utenti possono acquistare una certa quantità di criptovaluta a un prezzo specifico, ma la congestione della rete significa che potrebbero ricevere una quantità inferiore a un prezzo più alto. Per i residenti che vogliono ancora investire in criptovalute, la nota raccomanda di comprendere le caratteristiche del token venduto e di non investire più di quanto ci si possa permettere di perdere. Inoltre, gli utenti dovrebbero adottare misure per mantenere sicuri i loro portafogli digitali. L’avvertimento arriva dai crescenti rumors all’interno dell’UE sul mercato di criptovalute, i suoi rischi percepiti e la sua potenziale regolamentazione. L’ESMA ha dichiarato la scorsa settimana che le criptovalute saranno una delle sue massime priorità nel 2018, mentre un giorno dopo, alti funzionari di Francia e Germania hanno chiesto al gruppo di nazioni G20 di discutere l’azione cooperativa sulle criptovalute in vista di un vertice il prossimo mese. Allo stesso tempo, il membro del consiglio di amministrazione della Banca centrale europea (BCE) Yves Mersch ha espresso preoccupazione sull’apparente “corsa all’oro” nei mercati cripto, aggiungendo che una soluzione normativa potrebbe essere quella di forzare gli exchangers non regolamentati a segnalare le transazioni.

Capire Bitcoin e Criptovalute – Articoli ed analisi condivise

 31/12/2017
Siamo giunti a fine mese e a fine di un anno incredibile per quanto riguarda le criptovalute e la loro regina Bitcoin . Molte persone  nuove hanno scoperto questo mondo dimostrando però,  per lo più, un approccio per niente consapevole a quella che senza tema di errori può essere considerata un autentica rivoluzione. Una rivoluzione paragonabile oggi a ciò che fu Internet all’inizio degli anni novanta del secolo scorso e che sconvolgerà nei prossimi anni a seguire la nostra vita in moltissimi campi . A cominciare da quello finanziario ed economico perchè Bitcoin e criptovalute riconsegnano di fatto all’individuo la facoltà di disporre pienamente delle proprie risorse   e del proprio benessere economico disintermediando il rapporto tra noi e il denaro, oggi invece affidato ad organizzazioni umane e lobbies che determinano il destino delle popolazioni. Non solo, ma quello che la Blockchain, la tecnologia che sottintende Bitcoin, può realizzare anche in innumerevoli altri campi, è il vero oggetto di studi e sviluppi ormai già da qualche anno da parte del mondo finanziario tradizionale, di quello IT e di quello burocratico governativo. E’ inoltre innegabile che la novità portata da tutto ciò non sia nè prevista nè contemplata da alcun sistema giuridico o fiscale al mondo e, ciò provoca da una parte una libertà di movimento a mio avviso benefica, ma anche tutta la pericolosità che accompagna sempre tutte le scelte pionieristiche .
Ho voluto quindi fare la scelta di pubblicare un paio di articoli e un video youtube che assolutamente condivido e che secondo me inquadrano queste problematiche a tutta utilità  di chi si approccia oggi a questo nuovo mondo, ma anche di chi già se ne interessa da un po’ ed ha voglia di approfondire.
Nel ringraziare gli autori vi do quindi una buona lettura e che il Nuovo Anno 2018 sia ricco di cripto-soddisfazioni per tutti !!!
Gavrilo

Sempre di Stefano Capaccioli ecco un suo recentissimo intervento e inquadramento giuridico/fiscale su Bitcoin e Criptovalute

Infine questo interessante e secondo me centrato e circostanziato articolo di Riccardo Mansutti che fissa il momentum del Bitcoin con un confronto storico sull’andamento della quotazione/prezzo del Bitcoin assieme ad una vision e ad un approccio di analisi non prettamente finanziaria di ciò che il Bitcoin è e rappresenta e di ciò che il futuro potrebbe riservare.

BITCOIN: Giappone e Svizzera corrono, la UE è immobile, l’Italia inciampa

Mentre il Giappone  si è da poco dotato di una regolamentazione per quanto riguarda gli scambi di criptovalute considerando di fatto il Bitcoin e le sue sorelle minori alla stregua di strumenti di pagamento,  dall’altra parte del mondo anche  la Svizzera si è mossa da tempo considerando il bitcoin come valuta straniera e accettandolo comunemente per il pagamento di servizi pubblici locali , trasporti  ed altro. L’Unione Europea invece su questo come su altri temi importantissimi per la vita dei propri cittadini, soffre di un immobilismo preoccupante. A dimostrazione di un tanto, il presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, ha infatti dichiarato ieri che il bitcoin non rientra nelle competenze normative della BCE. La dichiarazione è stata presentata in risposta a una domanda della commissione per i problemi economici Bitcoin is Outside the Regulatory Jurisdiction of the European Central Banke monetari del Parlamento europeo.  “Non è in nostro potere  proibire o regolamentare (il Bitcoin)” – Ha dichiarato  Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea . La commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo era intervenuta  in merito alla questione interpellando  la BCE se  intendesse sviluppare un’architettura  di regolamentazione relativa al bitcoin e quali fossero i rischi che i crittografi possano causare all’economia europea attraverso le criptovalute. Secondo una traduzione di Google di una storia pubblicata da Eunews.it, Draghi ha dichiarato che dopo aver considerato “la grandezza, l’accettazione dell’utente e l’impatto sull’economia reale (del Bitcoin) … sarebbe comunque molto prematuro considerarlo come strumento di pagamento per il futuro” (aspettiamo allora che sia così maturo da cadergli in testa!! ndr.) Il presidente della BCEBitcoin is Outside the Regulatory Jurisdiction of the European Central Bank ha dichiarato che la Banca Centrale Europea”non ha ancora discusso” sul tema, aggiungendo che “non sarebbe nel nostro potere  vietare o regolamentare (il Bitcoin)”. Draghi ha anche espresso l’intenzione della BCE di valutare i rischi informatici associati a bitcoin e cryptocurrencies. Le dichiarazioni di Draghi  in merito alla tecnologia Blockchain  sono state ribadite anche durante un evento al Trinity College di Dublino durante un evento di dialogo giovanile , dove ha risposto a una  domanda  se “le nuove tecnologie, in particolare la blockchain, avranno un ruolo nella  futura politica monetaria . Draghi ha risposto:” noi alla BCE stiamo esaminando questo aspetto e  lo stiamo esaminando da un po ‘di tempo. La conclusione è che, a questo punto, la tecnologia non è ancora abbastanza matura per essere considerata sia nella politica delle banche centrali, sia nel sistema dei pagamenti. Dobbiamo guardare prima e ancora a come progredirà questa tecnologia in futuro. ” In entrambi gli eventi, il presidente della BCE ha sottolineato inoltre la volontà della Banca centrale europea di valutare  invece i rischi informatici associati alle nuove tecnologie. Al Trinity College di Dublino, Draghi ha descritto “il rischio cyber” come dominante  nel regno della digitalizzazione”. Ha aggiunto che “qualsiasi innovazione, come la Blockchain, verrà sottoposta a screening dal punto di vista dell’ esposizione al rischio informatico  che si considera in crescita ogni qualvolta si presenta una nuova tecnologia “. Il presidente della BCE ha anche recentemente rifiutato i piani dell’Estonia per lanciare una valuta digitale crittografica (criptovaluta) a livello statale, affermando che secondo la legge dell’Unione europea” nessun Stato membro può introdurre propria valuta. La valuta dell’area euro è l’euro “. Precedentemente  sempre questa settimana, il vicepresidente della BCE, Vitor Constancio, ha paragonato il bitcoin alla” bolla dei tulipani”che ha attraversato i Paesi Bassi nel XVII secolo. Constancio ha anche respinto il suggerimento di vedere  il bitcoin  come una minaccia per il settore finanziario europeo, dichiarando che il bitcoin ” non è certamente una moneta e non lo vediamo come una minaccia alla politica della banca centrale”.

Stante anche queste ultime dichiarazioni di Mario Draghi, appare evidente  l’eccessivo balzo in avanti fatto dall’Italia con la Gazzetta Ufficiale del 29 giugno scorso, citata in questo articolo, in cui si introduce la figura di cambiavalute virtuale, rendendo soggetto attivo per la normativa antiriciclaggio chiunque scambi criptovalute. Tutto ciò presuppone appunto che le criptovalute siano riconosciute legalmente come valute, cosa che così non è e non potrà essere finchè non vi sia una direttiva europea in tale senso e ad oggi, non sembra per niente  imminente. Al contrario, qualora vi fosse un qualsiasi contenzioso a causa di tale disposizione in Gazzetta Ufficiale , tra un cittadino “collezionista  di criptovalute” e un qualsiasi organismo statale preposto alla sorveglianza sulla normativa antiriciclaggio , potrebbe scattare invece una procedura di infrazione  verso lo Stato Italiano per aver legiferato su una materia di competenza europea e non più nella sua sovranità, esattamente come il caso estone di cui sopra .

Quando si dice l’eccesso di zelo burocratico….