Open Bazaar, come eBay, ma anonimo e incensurabile – Carola Frediani – Wired – 06/10/2014

Open Bazaar, come eBay, ma anonimo e incensurabile

Open Bazaar è un mercato online completamente libero e decentralizzato. Sarà una Silk Road invincibile o il BitTorrent del commercio? Abbiamo parlato con chi ci sta lavorando.


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Quello che non ti uccide ti rende più forte”. Così proclamava Amir Taaki mentre, al Toronto Bitcoin Expo 2014, svelava il prototipo di un progetto apparentemente eversivo: DarkMarket, un sito di commercio online decentralizzato. Detto in altri termini, la rinascita di Silk Road, ma senza le sue debolezze. E quindi un mercato nero dove vendere qualsiasi cosa – incluse armi o droghe – quasi impossibile da tirare giù.

Taaki, che ha solo 26 anni, è un personaggio da romanzo della comunità digitale. Imprenditore e sviluppatore di origini britannico-iraniane, è insieme un punto di riferimento e una figura scomoda della comunità bitcoin. Troppo radicale, secondo alcuni. O, semplicemente, troppo esplicito, poiché dice quello che altri si limitano a pensare.

Sta di fatto che Taaki, che si definisce cripto-anarchico e attivista della Rete, e che gira per centri sociali e squat di tutta Europa, non ha mai portato avanti quel progetto di mercato nero decentralizzato, anche perché impegnato a realizzare Dark Wallet, un software per rendere le transazioni bitcoin del tutto irrintracciabili. “Questo è un semplice prototipo, volevamo solo dimostrare che è possibile farlo. Ma comunque verrà fatto. Se non da noi, da altri”, aveva detto all’epoca Taaki del modello di mercato nero. E così è stato. Un gruppo di sviluppatori infatti ha preso in mano quel progetto, e l’ha forkato come si dice in gergo, cioè l’ha usato come base su cui costruire un software indipendente. Il nome equivoco è stato cambiato con uno più rassicurante, così come la grafica nera. Ed è nato Open Bazaar, che è stato lanciato a inizio settembre in una versione beta 1.0. Ora è uscita da poco la versione 2.0.

Ma cosa è esattamente? Un marketplace, una piattaforma di ecommerce, come potrebbe essere eBay, ma decentralizzata in una rete p2p, come BitTorrent. In questo modo le persone interagiscono direttamente fra loro, senza intermediari. Senza commissioni da pagare ad altri soggetti, come eBay o Amazon, e nemmeno a carte di credito e PayPal, dal momento che si usano i bitcoin. Senza che qualcuno possa censurare quello che viene venduto sulla piattaforma. E senza la possibilità che la piattaforma possa essere facilmente sequestrata una volta individuati i server, come accaduto con Silk Road. Nessun singolo punto di fallimento. Solo una rete di acquirenti-venditori che un eventuale censore o un organo investigativo dovrebbe andare a scovare uno ad uno.

Open Bazaar però, almeno nelle parole dei suoi attuali sviluppatori, vuole distaccarsi dall’immagine di una Silk Road agli steroidi. Del resto, anche ideologicamente, alcuni di loro sono lontani dalla radicalità di Aaki. Alcuni vivono negli Stati Uniti, hanno lavori di consulenza informatica. Lungi dal dirsi anarchici, credono nel libero mercato, che più libero non si può. Come appunto quello realizzato con Open Bazaar. Chiamatelo anarchismo al tempo di bitcoin, o anarcocapitalismo, o l’agorismo ammirato dallo stesso Ross Ulbricht, il presunto fondatore di Silk Road; o ancora l’incredibile miscela di diverse componenti ideologiche. In ogni caso, lo Stato è fuori dall’equazione.

Open Bazaar – rilasciato nella sua versione 2.0 per Linux e OSX – è ancora limitato nelle sue funzioni, al punto che gli sviluppatori avvisano: allo stato attuale la partecipazione non è per tutti e non è priva di rischi. La beta è per testarlo, e i beta tester sono graditi, ma una nuova versione verrà rilasciata ogni mese fino ad arrivare a una piattaforma stabile e usabile. In ogni caso, chi vuole può scaricarsi il software, lanciarlo e connettersi via browser a Open Bazaar, dove cominciano a esserci anche i primi negozi. Che finora vendono i prodotti della nonna, più che quelli del narcotraffico: birra artigianale, crauti tedeschi, miele. Forse anche perché al momento la beta non integra ancora il software Tor per garantire l’anonimato degli utenti, anche se prevede di aggiungere quella funzione successivamente.

Fino alla fine dell’anno avremo nuove release ogni mese con funzioni aggiuntive. Questa prima è stata dura, c’erano un sacco di bug, soprattutto in relazione all’installazione su diversi sistemi operativi. E comunque siamo partiti con una ventina di negozi attivi”, spiega il capo progetto Brian Hoffmann a Wired.it, dopo che abbiamo raggiunto lui e altri sviluppatori di Open Bazaar nella loro chat di lavoro. Nessuno è anonimo, il team è internazionale e sparso tra Grecia, Australia e Stati Uniti. Hoffmann ha 32 anni e vive a Washington, DC, di lavoro fa il consulente IT. La sera, da volontario, porta avanti il progetto open source di un mercato incensurabile.

In parte, il codice di Dark Market è stato cambiato. La connessione col progetto di Amir Taaki è soprtatutto mentale”, mi spiega Hoffman che però nel contempo non vuole associare Open Bazaar a Silk Road e ai suoi epigoni. È dello stesso avviso Sam Patterson, 28 anni, sposato e con tre figli, che lavora come autore e analista politico in Virginia: “Prima di tutto, non abbiamo mai avuto un mercato decentralizzato prima d’ora, quindi non sappiamo come verrà effettivamente usato. In secondo luogo, i benefici per le persone comuni derivanti dall’assenza di commissioni, dal non essere legati dai termini di servizio delle piattaforme esistenti, dal non dover usare una certa valuta, né avere i propri dati conservati, persi, rubati o venduti, sono enormi. Penso che la gente lo apprezzerà”.

La censura diretta di ciò che viene venduto sulla piattaforma è impossibile, anche ai suoi stessi creatori. Tuttavia, spiega Patterson, “tu puoi scegliere quello che vuoi nella tua rete e la comunità può spingere ai margini del sistema, che si basa su un meccanismo di feedback e reputazione, cioè che ritiene immorale in modo da non vederlo”. Il che non significa che scompaia, ma gli sviluppatori di Open Bazaar pensano comunque che gli usi legittimi, e i relativi benefici, saranno di gran lunga superiori agli utilizzi illegali.

Creare un mercato online p2p e anonimo è impresa ardua. Per costruire fiducia tra i membri della rete, che è poi la questione fondamentale di simili piattaforme, i suoi creatori hanno implementato diverse funzionalità. Una di queste sono gli account a firma multipla (multisig). Quando un acquirente e un venditore si mettono d’accordo su un prezzo, il software crea un contratto con le loro firme digitali e lo manda a una terza parte, una sorta di notaio. A quel punto si crea un account bitcoin a firma multipla che richiede almeno due delle tre parti per essere sbloccato. Se tutto fila liscio, cioè il venditore spedisce la merce e il compratore la riceve ed è soddisfatto, firmano, si sbloccano i soldi e la transazione va in porto. Se sorge una disputa, si chiama in causa un arbitro, un altro membro della rete, che decide il da farsi. “Gli arbitri sono pagati per i loro servizi, ma solo se c’è un contenzioso. Per cui la maggior parte del commercio sarà senza commissioni”, spiega Patterson, aggiungendo che col tempo verrà creato una sorta di mercato dell’arbitraggio.

Un’altra funzione per costruire fiducia sono le cosiddette garanzie reputazionali (Reputation Pledges), un modo per far capire che un utente intende investire sulla sua identità online e non è un truffatore pronto a cambiarla in continuazione. Per farlo, distrugge una certa quantità di bitcoin, un’operazione che non è conveniente per uno scammer. “La creazione di un mercato decentralizzato deve affrontare molte sfide”, aggiunge Hoffman. “La più importante è quella sull’identità e la fiducia. Quindi dobbiamo trovare dei modi per creare un modo si scambiarsi beni che sia al tempo stesso anonimo e affidabile. Avevamo pronta già la moneta (bitcoin), ora ci vuole il forum”.

Open Bazaar – che vuole essere il figlio naturale di eBay e BitTorrent – è basato su tre pilastri tecnologici: il modello p2p, bitcoin e l’anonimato procurato dalla rete Tor. Tutte tecnologie che esistono da anni, ma il problema era mettere insieme i pezzi, in un processo scorrevole e facile per un utente medio. “Non è semplice farlo“, dice Patterson, “Internet ha decentralizzato le comunicazioni, con risultati sorprendenti. Bitcoin ha decentralizzato la moneta, con effetti incredibili e ancora da vedere. Noi vogliamo decentralizzare il commercio, e cambiare il mondo in meglio”.

Non c’è nessuna ideologia, aveva detto poco prima, si tratta solo di un progetto tecnico. In ogni caso Amir Taaki, probabilmente, approverebbe.

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