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Seminario Criptovalute in CCIIAA a Udine e la strana voglia di regole

Venerdi pomeriggio scorso, 23 febbraio 2018,  c’è stato (finalmente) un seminario su criptovalute e Blockchain presso una sala, troppo piccola per l’occasione,  della sede della Camera di Commercio di Udine  . L’iniziativa è stata molto apprezzata dai partecipanti accorsi numerosi, come riportato dal comunicato stampa della CCIIAA qui sotto, e gli interventi dei relatori forse un po’ troppo tecnici per il pubblico variegato presente .  Non entro troppo nei particolari anche perchè potete seguire tutta l’iniziativa direttamente dal video youtube a fondo pagina e farvi la vostra opinione, e un doveroso ringraziamento va ai relatori, preparati e sufficientemente esaustivi per il contesto, ma ci terrei a sottolineare alcune cose che ho riscontrato e le riflessioni fatte, anche dopo aver letto oggi un interessante articolo su un blog .

Perchè anche durante questo seminario i professori e “gli esperti” hanno insistito sul pericolo di criminalità legata all’uso delle criptovalute e  sulla necessità di creare  leggi su qualcosa che ha già le regole infallibili  e necessarie  scritte in un algoritmo matematico?

E’ ormai chiaro che a quasi 10 anni dalla loro invenzione ( il libro bianco di Satoshi Nakamoto viene pubblicato nell’ottobre del 2008) Bitcoin , Blockchain e 1500 criptovalute sul mercato oggi, con un valore complessivo pari a quello del PIL dell’Olanda, non possono essere più ignorate dalle istituzioni a qualsiasi livello e, visto che la gente comune se n’è accorta già da un po’ e sta cominciando ad utilizzarle  sempre di più , si cerca in qualche modo di correre ai ripari, anche se magari pochi si rendono conto che nulla sarà come prima e che ormai siamo entrati in una fase 3.0 di sviluppo tecnologico generale.  Si consideri quindi il Bitcoin come la prima manifestazione di questo nuovo sviluppo tecnologico con le  3 caratteristiche fondamentali:

  • E’ DECENTRALIZZATO
  • E’ FEDERATO
  • E’ IPER-RESILIENTE

Essendo decentralizzato, non ha e non richiede un potere centrale  che lo governi (una disintermediazione mortale per chi è abituato a trarre vantaggi enormi dal signoraggio e dalla sua posizione di regolatore) , ma necessita  di essere federato per sfruttare tutta l’enorme potenza di calcolo sommata dei dispositivi degli utenti che usano le nuove applicazioni e, come abbiamo notato in questi anni ,  soprattutto nell’ultima ondata speculativa dello scorso dicembre/gennaio, è iper resiliente . Significa che il numero di utenti detti “early users”, i quali non smetteranno MAI di prestare la loro opera per tenere in piedi la rete, e’ superiore a quello sufficiente per tenere in piedi la rete (nel caso di bitcoin il numero e’ sovrabbondante). I dark market sono piu’ che sufficienti, in termini di cash flow, per tenere in piedi sia il mining che il trading. Potete fare speculazioni e far andare su e giu’ il valore quanto volete, ma tanto la rete non cade.

“Chiaramente, della terza caratteristica “i maghi della finanza” non avevano idea, e ce l’hanno ora: ci hanno rimesso un sacco di soldi in questa ultima  speculazione (per la semplice ragione che nessun exchanger ufficiale aveva abbastanza cash da farli vendere Bitcoin al ritmo che si illudevano di tenere), per cui quando hanno causato il ribasso artificiale del valore, non sono riusciti a sbarazzarsene abbastanza in fretta: traders ed exchangers hanno dato forfait. Del resto, il gioco di questi signori e’ di fare scalping su un prezzo,essendo quelli che decidono il prezzo” E con il  Bitcoin  non possono, così gli è andata buca per l’ennesima volta!

Adesso ovviamente metteranno in scena tutti i trucchi del caso. Siccome possiedono i giornali e i media, inizieranno con la propaganda.

E quindi si ripete lo schema già usato per le BBS degli ultimi anni ottanta, per l’internet dei primi anni novanta ed anche per il web 2.0 (quello dei social network come facebook, twitter ecc): cercano di denigrare e infangare dicendo:

  • Che ci  sono i maniaci sessuali e i pedofili.
  • Che ci sono i mafiosi e i delinquenti.
  • Che ci sono i terroristi.
  • Che ci sono gli evasori fiscali.
  • Che fa male ai giovani.

Tra 5- 10 anni useremo tutti dei servizi decentralizzati e federati. Questo produrra’ la caduta di alcune grandi aziende e la nascita di altre star, cioe’ quelli che creano i servizi e riescono a farci i soldi con un modello di business legato al client, o legato alla criptomoneta, o legato alla mediazione, come capita su OpenBazaar, ove gli arbitri hanno una percentuale sulle transazioni (e un rischio nella mediazione dei conflitti). O magari nasceranno altri modelli di business, ma la cosa certa e’ che , come e’ sempre successo, non saranno le chiacchiere , la diffamazione ed il terrorismo mediatico a fermare una nuova onda di applicazioni “disruptive”.

Perche’ alla fine le criptomonete , che vi piaccia o meno, sono arrivate e resteranno.

Anche tutta questa voglia di regolarle (BEN PRESENTE AL SEMINARIO DI CUI STIAMO PARLANDO) non cambia niente, e non puo’ cambiare niente. Chi sta operando contro questa rivoluzione già in atto lo fa in modo da ottenerne la “regolazione”, cioe’ vuole che ci siano leggi ad hoc. Queste leggi, guarda caso, cercheranno di portare queste tecnologie nelle mani di pochi. Quindi tutti vogliono “regolare le criptomonete”: queste persone pero’ stanno fallendo nell’indicare le leggi, nel dire come dovrebbero essere queste leggi, per una semplice ragione:

in Germania ci sono circa 68 milioni di cellulari smart che hanno almeno una CPU con 4 core. Se domani per fermare una qualche applicazione diffusissima si dovesse fare una legge che obbliga a centralizzare, chi diavolo costruisce un data center con la potenza equivalente di 272 milioni di core, 136Exabyte di Ram, e 544Exabyte di storage? Tralasciamo la fattibilita’, ma chi paga per il mostro?

Se chi fa un software decentralizzato decide di essere stronzo e di usare perbene le risorse del cellulare, centralizzare una simile potenza di calcolo non e’ possibile. Certo, sicuramente questi software non useranno il 100% delle risorse dei cellulari. Ma anche usandone una frazione, le cifre in gioco sono cosi’ alte che nessuno potrebbe sostituire la potenza in gioco con un server centrale. Se oggi volessimo costruire un datacenter che assommi tutta la potenza a disposizione di Bitcoin solo contando thin clients, nodi e supernodi (e non voglio nominare i miners con macchine dedicate), saremmo nella top500 di sicuro, e forse nella top100 dei supercomputer. Chi paga?

Per questa ragione, tutti stanno invocando il regolatore, ma nessuno riesce a dire in che modo centralizzare questa roba per farci i soldi. Queste tecnologie non sono difficili da centralizzare per via del design (qualcuno si illude di poterle centralizzare facendo delle modifiche al software), ma sono difficili da centralizzare perche’ sfruttano la potenza dei client, che sono troppi. La potenza di calcolo oggi e’ sbilanciata verso gli utenti in maniera mostruosa: e contro questo fatto fisico c’e’ davvero poco che il programmatore possa farci. Chi sviluppa un’applicazione decentralizzata e federata ha a disposizione potenze di calcolo inarrivabili.

Questo vi spiega anche per quale ragione Facebook, Twitter , Amazon, e tutti quanti si siano uniti nella guerra contro bitcoin: di per se’ il Web 3.0 suona per loro la campana a morto.

(la parte in corsivo è tratta  da un articolo del  blog  Böse Büro  keinpfusch.net,  che invito tutti a leggere integralmente QUI)

Open Bazaar, come eBay, ma anonimo e incensurabile – Carola Frediani – Wired – 06/10/2014

Open Bazaar, come eBay, ma anonimo e incensurabile

Open Bazaar è un mercato online completamente libero e decentralizzato. Sarà una Silk Road invincibile o il BitTorrent del commercio? Abbiamo parlato con chi ci sta lavorando.

wired

openbazaar

Quello che non ti uccide ti rende più forte”. Così proclamava Amir Taaki mentre, al Toronto Bitcoin Expo 2014, svelava il prototipo di un progetto apparentemente eversivo: DarkMarket, un sito di commercio online decentralizzato. Detto in altri termini, la rinascita di Silk Road, ma senza le sue debolezze. E quindi un mercato nero dove vendere qualsiasi cosa – incluse armi o droghe – quasi impossibile da tirare giù.

Taaki, che ha solo 26 anni, è un personaggio da romanzo della comunità digitale. Imprenditore e sviluppatore di origini britannico-iraniane, è insieme un punto di riferimento e una figura scomoda della comunità bitcoin. Troppo radicale, secondo alcuni. O, semplicemente, troppo esplicito, poiché dice quello che altri si limitano a pensare.

Sta di fatto che Taaki, che si definisce cripto-anarchico e attivista della Rete, e che gira per centri sociali e squat di tutta Europa, non ha mai portato avanti quel progetto di mercato nero decentralizzato, anche perché impegnato a realizzare Dark Wallet, un software per rendere le transazioni bitcoin del tutto irrintracciabili. “Questo è un semplice prototipo, volevamo solo dimostrare che è possibile farlo. Ma comunque verrà fatto. Se non da noi, da altri”, aveva detto all’epoca Taaki del modello di mercato nero. E così è stato. Un gruppo di sviluppatori infatti ha preso in mano quel progetto, e l’ha forkato come si dice in gergo, cioè l’ha usato come base su cui costruire un software indipendente. Il nome equivoco è stato cambiato con uno più rassicurante, così come la grafica nera. Ed è nato Open Bazaar, che è stato lanciato a inizio settembre in una versione beta 1.0. Ora è uscita da poco la versione 2.0.

Ma cosa è esattamente? Un marketplace, una piattaforma di ecommerce, come potrebbe essere eBay, ma decentralizzata in una rete p2p, come BitTorrent. In questo modo le persone interagiscono direttamente fra loro, senza intermediari. Senza commissioni da pagare ad altri soggetti, come eBay o Amazon, e nemmeno a carte di credito e PayPal, dal momento che si usano i bitcoin. Senza che qualcuno possa censurare quello che viene venduto sulla piattaforma. E senza la possibilità che la piattaforma possa essere facilmente sequestrata una volta individuati i server, come accaduto con Silk Road. Nessun singolo punto di fallimento. Solo una rete di acquirenti-venditori che un eventuale censore o un organo investigativo dovrebbe andare a scovare uno ad uno.

Open Bazaar però, almeno nelle parole dei suoi attuali sviluppatori, vuole distaccarsi dall’immagine di una Silk Road agli steroidi. Del resto, anche ideologicamente, alcuni di loro sono lontani dalla radicalità di Aaki. Alcuni vivono negli Stati Uniti, hanno lavori di consulenza informatica. Lungi dal dirsi anarchici, credono nel libero mercato, che più libero non si può. Come appunto quello realizzato con Open Bazaar. Chiamatelo anarchismo al tempo di bitcoin, o anarcocapitalismo, o l’agorismo ammirato dallo stesso Ross Ulbricht, il presunto fondatore di Silk Road; o ancora l’incredibile miscela di diverse componenti ideologiche. In ogni caso, lo Stato è fuori dall’equazione.

Open Bazaar – rilasciato nella sua versione 2.0 per Linux e OSX – è ancora limitato nelle sue funzioni, al punto che gli sviluppatori avvisano: allo stato attuale la partecipazione non è per tutti e non è priva di rischi. La beta è per testarlo, e i beta tester sono graditi, ma una nuova versione verrà rilasciata ogni mese fino ad arrivare a una piattaforma stabile e usabile. In ogni caso, chi vuole può scaricarsi il software, lanciarlo e connettersi via browser a Open Bazaar, dove cominciano a esserci anche i primi negozi. Che finora vendono i prodotti della nonna, più che quelli del narcotraffico: birra artigianale, crauti tedeschi, miele. Forse anche perché al momento la beta non integra ancora il software Tor per garantire l’anonimato degli utenti, anche se prevede di aggiungere quella funzione successivamente.

Fino alla fine dell’anno avremo nuove release ogni mese con funzioni aggiuntive. Questa prima è stata dura, c’erano un sacco di bug, soprattutto in relazione all’installazione su diversi sistemi operativi. E comunque siamo partiti con una ventina di negozi attivi”, spiega il capo progetto Brian Hoffmann a Wired.it, dopo che abbiamo raggiunto lui e altri sviluppatori di Open Bazaar nella loro chat di lavoro. Nessuno è anonimo, il team è internazionale e sparso tra Grecia, Australia e Stati Uniti. Hoffmann ha 32 anni e vive a Washington, DC, di lavoro fa il consulente IT. La sera, da volontario, porta avanti il progetto open source di un mercato incensurabile.

In parte, il codice di Dark Market è stato cambiato. La connessione col progetto di Amir Taaki è soprtatutto mentale”, mi spiega Hoffman che però nel contempo non vuole associare Open Bazaar a Silk Road e ai suoi epigoni. È dello stesso avviso Sam Patterson, 28 anni, sposato e con tre figli, che lavora come autore e analista politico in Virginia: “Prima di tutto, non abbiamo mai avuto un mercato decentralizzato prima d’ora, quindi non sappiamo come verrà effettivamente usato. In secondo luogo, i benefici per le persone comuni derivanti dall’assenza di commissioni, dal non essere legati dai termini di servizio delle piattaforme esistenti, dal non dover usare una certa valuta, né avere i propri dati conservati, persi, rubati o venduti, sono enormi. Penso che la gente lo apprezzerà”.

La censura diretta di ciò che viene venduto sulla piattaforma è impossibile, anche ai suoi stessi creatori. Tuttavia, spiega Patterson, “tu puoi scegliere quello che vuoi nella tua rete e la comunità può spingere ai margini del sistema, che si basa su un meccanismo di feedback e reputazione, cioè che ritiene immorale in modo da non vederlo”. Il che non significa che scompaia, ma gli sviluppatori di Open Bazaar pensano comunque che gli usi legittimi, e i relativi benefici, saranno di gran lunga superiori agli utilizzi illegali.

Creare un mercato online p2p e anonimo è impresa ardua. Per costruire fiducia tra i membri della rete, che è poi la questione fondamentale di simili piattaforme, i suoi creatori hanno implementato diverse funzionalità. Una di queste sono gli account a firma multipla (multisig). Quando un acquirente e un venditore si mettono d’accordo su un prezzo, il software crea un contratto con le loro firme digitali e lo manda a una terza parte, una sorta di notaio. A quel punto si crea un account bitcoin a firma multipla che richiede almeno due delle tre parti per essere sbloccato. Se tutto fila liscio, cioè il venditore spedisce la merce e il compratore la riceve ed è soddisfatto, firmano, si sbloccano i soldi e la transazione va in porto. Se sorge una disputa, si chiama in causa un arbitro, un altro membro della rete, che decide il da farsi. “Gli arbitri sono pagati per i loro servizi, ma solo se c’è un contenzioso. Per cui la maggior parte del commercio sarà senza commissioni”, spiega Patterson, aggiungendo che col tempo verrà creato una sorta di mercato dell’arbitraggio.

Un’altra funzione per costruire fiducia sono le cosiddette garanzie reputazionali (Reputation Pledges), un modo per far capire che un utente intende investire sulla sua identità online e non è un truffatore pronto a cambiarla in continuazione. Per farlo, distrugge una certa quantità di bitcoin, un’operazione che non è conveniente per uno scammer. “La creazione di un mercato decentralizzato deve affrontare molte sfide”, aggiunge Hoffman. “La più importante è quella sull’identità e la fiducia. Quindi dobbiamo trovare dei modi per creare un modo si scambiarsi beni che sia al tempo stesso anonimo e affidabile. Avevamo pronta già la moneta (bitcoin), ora ci vuole il forum”.

Open Bazaar – che vuole essere il figlio naturale di eBay e BitTorrent – è basato su tre pilastri tecnologici: il modello p2p, bitcoin e l’anonimato procurato dalla rete Tor. Tutte tecnologie che esistono da anni, ma il problema era mettere insieme i pezzi, in un processo scorrevole e facile per un utente medio. “Non è semplice farlo“, dice Patterson, “Internet ha decentralizzato le comunicazioni, con risultati sorprendenti. Bitcoin ha decentralizzato la moneta, con effetti incredibili e ancora da vedere. Noi vogliamo decentralizzare il commercio, e cambiare il mondo in meglio”.

Non c’è nessuna ideologia, aveva detto poco prima, si tratta solo di un progetto tecnico. In ogni caso Amir Taaki, probabilmente, approverebbe.

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