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Exchangers virtuali e antiriciclaggio, l’Italia si muove prima di tutti

E’ l’ Italia  la prima nazione che si mette a normare su criptovalute e cambiavalute, anticipando  le disposizioni della proposta di modifica della IV Direttiva europea  — che passerà attraverso una discussione plenaria non prima della fine di ottobre 2017.  La IV Direttiva antiriciclaggio (Direttiva UE 2015/859) è stata infatti  introdotta in Italia con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Italiana del Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 90 (G.U. n. 140 del 19 giugno 2017) con la riscrittura totale del Decreto Legislativo 231/2007 ed entrata in vigore proprio in questi giorni,  il 4 luglio 2017. Come al solito un bel pasticcio all’italiana in cui si accomunano i linden dollars di Second Life alle criptovalute decentralizzate  e trustless come bitcoin e altcoins e le piattaforme exchanger che girano milioni di euro con i dealers che cambiano qualche centinaia di euro in rete . Con questa occasione viene per la prima volta introdotta però la definizione giuridica di “valuta virtuale” e di “cambiavalute virtuale” rendendo così gli exchanger soggetti destinatari delle normative antiriciclaggio di cui alla direttiva antiriciclaggio citata e  la previsione che questi ultimi ottengano una licenza e l’iscrizione in un registro apposito. Il testo contiene anche le modalità con cui i prestatori del servizio devono comunicare alle autorità la loro presenza sul territorio.

Ho contattato telefonicamente l’amico Stefano Capaccioli, tra i massimi esperti italiani nel settore  per quanto riguarda gli aspetti giuridici sulle criptovalute, collaboratore del blog CoinLex in cui potrete approfondire l’argomento che sto trattando.

“La normativa anticiriclaggio italiana in vigore dal 04.07.2017, ha anticipato le tendenze europee, normando esclusivamente determinati attori dell’ecosistema delle criptovalute per introdurre i presidi antiriciclaggio. Ciò si è reso necessario soprattutto per l’intersezione degli stessi con il mondo finanziario e l’exchanger opera nel punto di congiunzione tra il mondo delle monete legali e il mondo delle criptovalute, scambiandole. Quindi, entra necessariamente in contatto con il mondo finanziario tradizionale e le sue regole.”

Ma è sull’applicazione di tale normativa e sulla burocrazia varia a corredo  che si gioca veramente  la partita.  Se il vantaggio di poter emergere legalizzando e responsabilizzando gli attori della rivoluzione criptovalutaria viene soffocato dalla tipica burocrazia italiota,  o peggio, da una futura e pesante  tassazione, non solo si tarperanno le ali ad un settore emergente in grado di creare in prospettiva moltissimi nuovi posti di lavoro e benessere diffuso, ma avremo l’effetto esattamente contrario. La  buona percentuale di anonimità che bitcoin e altcoins riescono comunque a garantire, giocherà a favore della clandestinità dei suoi attori principali vanificando, come è successo ovunque nel mondo, qualsiasi approccio normativo tradizionale.  E’ richiesto dalle istituzioni italiane quindi,  un cambio di passo e di atteggiamento, non più costrittivo o come sempre meramente punitivo, ma  aperto e propositivo, sulle orme di quel Giappone e Australia che contribuiscono alla diffusione globale delle criptovalute  e all’aumento del valore di quotazione del Bitcoin.

 

Oggi il Giappone legalizza il Bitcoin come metodo di pagamento – 01/04/2017

Liberamente tratto e commentato da articolo di   del 31/03/2017 by gavriloBTC

Mentre l’Unione (totalitaria) Europea sta elaborando il miglior  sistema per violare la privacy di chi utilizza i bitcoin, in Giappone da oggi la criptovaluta più conosciuta ed utilizzata al mondo diventa  un metodo di pagamento   legale  e  riconosciuto ufficialmente a  tutti  gli   effetti.  Dopo  mesi  di dibattito infatti, il  legislatore del Paese del Sol Levante ha approvato una legge che ha portato le piattaforme exchanger di Bitcoin sotto l’ombrello  dell’ antiriciclaggio (AML/KYC) , categorizzando la criptovaluta come una sorta di strumento di pagamento prepagato.

Il lungo dibattito  ha avuto inizio subito all’indomani del crollo di Mt. Gox,  l’ ormai defunta piattaforma di scambio Bitcoin più grande al mondo, che   chiuse  i  battenti  nel  gennaio  2014,  dopo  mesi  di  crescenti difficoltà  e, alla fine appunto, la caduta in stato di insolvenza e presunta frode.

Secondo la Financial Services Agency del Giappone, la legge che entrerà in vigore da oggi  1 ° aprile 2017,  legalizzerà gli exchange          con   requisiti    patrimoniali,   di   sicurezza   informatica   e procedure operative migliori e più sicure . Tali exchanger  inoltre, saranno tenuti a condurre programmi periodici di formazione dei dipendenti e sottoposti a verifiche annuali.

Tutto ciò sicuramente  creerà molto fermento e ulteriore  lavoro in questo specifico settore.

Ad esempio, l’ istituto di ricerca Yasutake Okano di Nomura ha individuato e suggerito , già in un rapporto di maggio del 2016, che altre leggi giapponesi avrebbero bisogno di essere aggiornate  alla nuova tecnologia, tra cui il Testo Unico Bancario e degli strumenti finanziari e l’ Exchange Act.

Ma anche altri gruppi di ricerca in Giappone si stanno muovendo per individuare e sanare il gap normativo con la dirompente realtà delle criptovalute .bitcoin, computer

Seguendo un rapporto del Nikkei infatti, il Consiglio per gli Accounting Standards giapponese ha deciso all’inizio di questa settimana, di iniziare l’elaborazione di altre norme specifiche per le valute digitali come il  Bitcoin. Questa decisione  rispecchia e segue  altre iniziative intraprese in altri paesi nel mondo, tra cui l’ Australia, che già alla fine dell’anno scorso ha iniziato a spingere per tali norme tese a regolamentare e dare una forma legale alle criptovalute e degli operatori in questo settore, nella direzione della salvaguardia del cittadino come utente e risparmiatore .

Come a dire che nelle democrazie avanzate a livell
o mondiale  e diversamente dall’oppressiva Europa  dei plutocrati, l’adeguamento legislativo  alle nuove tecnologie passa principalmente per la tutela dei propri cittadini e non viceversa, di quella di una moneta imposta con la forza dai grandi gruppi bancari e finanziari che diventano poi braccio operativo per le esigenze statali/comunitarie di controllo dei cittadini con la scusa dell’ antiterrorismo, ma che di fatto  sono invasive e limitative delle libertà individuali su modelli paragonabili solo a quelli di staliniana memoria o cinese. Gli Stati Uniti e il Regno Unito (vedi brexit) se ne sono accorti, anche grazie a casi e coraggiose denunce come quelle di Assange (Wikileaks) e Snowden , e stanno efficacemente prendendo le distanze da questa che assomiglia sempre meno ad un’ Unione  di popoli e nazioni europee e sempre di più un Unione Socialista Sovietica delle Banche.

Terrorismo e riciclaggio sono la scusa UE per toglierci il possesso del nostro denaro.

 31/01/2017 – Liberamente tradotto, commentato, interpretato e tratto da questo articolo di Bitcoin.com da gavriloBTC

Mentre gli USA cominciano finalmente a respirare aria nuova con l’avvento del Presidente Trump e il suo “First America”, in Europa si respirano ancora gli asfittici miasmi del Nuovo Ordine Mondiale che ci vuole tutti come individuo-consumatore e attraverso la mescolanza delle razze “uomo a taglia unica”  . In quest’ottica vanno inquadrati gli sforzi dell UE  dove contante  e cryptocurrencies diventano ora il bersaglio principale di sforzi antiriciclaggio della Commissione Europea.  Di recente, la Commissione ha infatti pubblicato una tabella di marcia della sua proposta sull’iniziativa per le restrizioni sui pagamenti in contanti, estendendole anche alle  cryptocurrencies come il  Bitcoin.

La Roadmap

La tabella di marcia o ‘Inizio di valutazione d’impatto’ avrebbe lo scopo di informare le parti interessate, come le forze dell’ordine, le autorità fiscali, le banche centrali e tutti coloro che saranno toccati dall’ iniziativa per dare loro la possibilità di fornire un feedback. Essa spiega l’iniziativa ed esplora le opzioni principalmente per limitare i pagamenti in contanti e controllare definitivamente il benessere economico e finanziario dei suoi sudditi. 

Europe's Roadmap to Restrict Payments in Cash and CryptocurrenciesLa roadmap  cita la caratteristica di anonimato nelle transazioni in contanti come principale pericolo precisando che “tale anonimato può anche essere utilizzato impropriamente per il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo” ed aggiungendo che le restrizioni sui pagamenti in contanti potrebbero essere un mezzo per combattere le attività criminali che utilizzano grandi transazioni in denaro contante. In realtà è l’ennesima limitazione alle legittime aspirazioni di crescita, benessere e prosperità economica delle popolazioni e degli individui che vivono all’interno di quella che sempre di più sta diventando un lager, l’UEAlcune opzioni considerate dalla Commissione sono perciò quelle dell’ adozione di una legislazione UE che costringa i pagamenti attraverso canali che non sono anonimi, come i bonifici bancari e assegni .

D’altra parte, l’autorità competente potrebbe essere responsabile della trasparenza mentre in alternativa, la dichiarazione potrebbe essere effettuata all’atto del pagamento, indipendentemente da tutte le parti. La Commissione ha anche considerato il livello di soglia di restrizione e se ci debba essere una singola soglia o le soglie variabili in base a poteri d’acquisto del paese (la Germania sicuramente non ne avrebbe, guarda caso…).

Estendere le restrizioni anche alle cryptocurrencies

Among several approaches discussed in the roadmap is an option that takes into account new technologies such as cryptocurrencies.

The problem with cryptocurrency payments is different from that of cash. Cryptocurrencies are not regulated at the EU level. They are considered anonymous because their transactions are recorded but “there is no reporting mechanism equivalent to that found in the mainstream banking system to identify suspicious activity”, the Commission explained.

Tra i vari approcci discussi nella tabella di marcia c’è un’opzione che tiene conto delle nuove tecnologie, come le cryptocurrencies. Il problema dei pagamenti in criptovaluta è diverso da quello in  contanti.  Le Cryptocurrencies non sono regolamentate a livello UE. Esse sono considerate anonime perché le transazioni sono registrate, ma “non vi è alcun meccanismo di informazione equivalente a quello che si trova nel sistema bancario tradizionale per identificare attività sospette”, ha spiegato la Commissione .

La  roadmap suggerisce quindi:

Un’opzione potrebbe essere quella di estendere le restrizioni ai pagamenti in contanti anche per i pagamenti che garantiscano l’anonimato (cryptocurrencies, il pagamento in generale, etc.). Le restrizioni sui pagamenti in contanti, dall’altra parte,  potrebbero promuovere lo sviluppo di tecnologie di pagamento alternative ma compatibili con l’obiettivo perseguito di trasparenza .

Se le restrizioni sui contanti fossero estese alle cryptocurrencies, queste potrebbero integrare le esistenti misure proposte per ridurre l’anonimità delle criptovalute come indicato negli emendamenti nella direttiva  Antireciclaggio (AMLD) dello scorso Luglio.

Siamo alla follia pura : vorrebbero acquisire e utilizzare la tecnologia Blockchain e drasticamente controllare l’accesso alle crittovalute anonime. Certo tutto fattibile, ma non esperibile con successo. Per rendersene conto basti vedere la riuscita della BitLicense nello Stato di New York. La conseguenza alla sua messa in atto ed alle sue restrizione è stata il trasferimento di massa di tutte le imprese e startup del settore Blockchain nel vicino New Jersey con la conseguenza che il Bitcoin comunque impazza irrefrenabilmente nello Stato di New York pur senza rispettare la famosa BitLincense. Un fallimento così clamoroso che i legislatori stanno tentando di correggere in tutta fretta. I soloni europei non hanno capito che il vento di libertà finanziaria portato dal Bitcoin non è più arrestabile ed eventuali proibizioni o blocchi non faranno altro che aumentarne il valore intrinseco e la sua ascesa a discapito dei loro controlli.

Più controlli UE sulle Cryptocurrencies

La Commissione ha lavorato attivamente sui modi per ridurre l’anonimato delle criptovalute ed ha pubblicato il ‘Piano d’azione per la lotta contro il finanziamento del terrorismo’ lo scorso febbraio. Il Piano si basa sulla quarta AMLD dell’UE, che dovrebbe essere attuato quest’anno. Esso stabilisce che” c’è il rEurope's Roadmap to Restrict Payments in Cash and Cryptocurrenciesischio che le valute virtuali possano essere utilizzate dalle organizzazioni terroristiche per nascondere i trasferimenti di denaro”, spingendo la Commissione ad estendere “la portata del AMLD ed includere le piattaforme di cambio valuta virtuali”.

Nel luglio dello scorso anno , la Commissione ha  proposto di definire “tutti i guardiani che controllano l’accesso alle valute virtuali, in particolare le piattaforme exchanger e i fornitori di servizi wallet” come le entità che dovranno monitorare le transazioni sospette in criptovaluta.  Avremo quindi la fuga immediata di queste entità dal territorio dell’ UE verso Gran Bretagna, Isola di Man ecc. che ben si presteranno ad ospitarli grazie anche alla Brexit in attuazione. Da sottolineare inoltre che a parte Bitstamp, nessuna piattaforma exchanger è in regola con le normative finanziarie europee nè garantisce alcunchè a chi deposita valuta fiat (euro dollari yen sterline ecc.) presso i loro conti ( se ve li fregano nessuno ve li restituisce). Un altro ottimo passo quindi,  per ammazzare definitivamente l’Euro. Che dire poi delle dichiarazioni su cryptocurrencies e terrorismo?  Nessuno ha spiegato alla Commissione che non è conveniente , ma è invece veramente difficoltoso commerciare in armi, esplosivi e finanziare operazioni costose come quelle terroristiche con una valuta completamente tracciabile e di scarsa reperibilità seppur anonima  come il Bitcoin e le sue sorelle? Molto meglio i dollaroni sonanti e gli euro…Io sono certo di sì, qualcuno dei nostri esperti (anche italiani) glielo ha detto, ma le finalità di quei soloni sono ben altre di quelle che dichiarano.

All’inizio di quest’anno perciò, l’ amministrazione Juncker ha confermato che la lotta al riciclaggio e al finanziamento al terrorismo, che include le criptovalute è una sua priorità. In altre parole, ha confermato l’amministrazione Juncker , riciclaggio e terrorismo sono “cosa nostra”.

( I commenti in corsivo sono a cura dell’autore del blog)

LA BCE AMMONISCE L’UNIONE EUROPEA A NON PROMUOVERE BITCOIN

Liberi pensieri  e considerazioni di un neocinquantenne sull’articolo di Gautham  su  newsBTC.com  – 19/10/2016

european union, blockchain technology

L’ Europa della Brexit non riesce ormai più a nascondere le sue laceranti contraddizioni. Quanto durerà ancora prima di implodere? Riusciranno i suoi popoli,  le sue nazioni, le sue intelligenze, a cambiarla prima del tragico epilogo? Gautham non se lo chiede nel suo articolo , anche se non manca di sottolineare che  gli Stati europei  non possono fare a meno di accorgersi della rivoluzione in atto  sin dal suo arrivo e poi dalla sempre maggior diffusione del Bitcoin, sia dell’interesse che la nuova tecnologia che lo  sottintende (la blockchain) sta suscitando in quelle menti   europee che rappresentano il nuovo pensiero liberista e libertario , quello cioè che si ricollega alla sincera tradizione di progresso, prosperità e crescita democratica che il libero mercato  ha garantito all’Occidente negli ultimi 150 anni, quello che odia insomma la burocrazia ma di più il lobbismo mondialista oggi imperante in Europa con la costante attuazione del Piano Kalergi.
Cosa ci racconta invece Gautham che nessuna fonte di informazione italiana rivela?  Afferma dapprima ciò che già sappiamo e andiamo dicendo da qualche anno, cioè che il Bitcoin è probabilmente l’innovazione più dirompente di questo secolo. Ma ci rivela anche che mentre la criptovaluta decentrata continua a rivoluzionare il sistema finanziario globale, la Banca Centrale Europea ha cominciato a sentire il calore sotto le terga. In una recente dichiarazione, la BCE ha chiesto ai legislatori dell’Unione europea di dare un giro di vite  regolamentando  Bitcoin e tutte le altre valute digitali per salvare se stessa dalla perdita di controllo sul sistema finanziario. La dichiarazione della BCE su Bitcoin e valute virtuali faceva parte di un parere legale pubblicato giusto ieri (18/10/2016). Nel documento, la banca centrale ha messo in chiaro che non vuole istituzioni dell’UE a promuovere l’uso di valute virtuali che oggi non hanno uno status giuridico chiaro nel continente europeo. Tuttavia, tale dichiarazione sembra essere in contraddizione con varie sentenze della Corte di giustizia europea, che ha in molte occasioni esteso privilegi al Bitcoin simili a quelli di cui godono le valute fiat (vedi la non applicabilità dell’IVA nelle transazioni in criptovaluta).

Molte nazioni dell’UE hanno un atteggiamento favorevole nei confronti del Bitcoin e della tecnologia che sta  alla sua base. Nella crescente adozione di valute virtuali in questi giorni si trova la prova della crescente popolarità della moneta digitale nel continente europeo. Ma nella dichiarazione della BCE si legge, “La fiducia degli attori economici in unità monetarie virtuali, se notevolmente aumentata, in futuro potrebbe in linea di principio influire sul controllo delle banche centrali sulla fornitura di denaro fiat … Così (gli organi legislativi comunitari) non dovrebbero cercare in questo particolare contesto di promuovere un uso più ampio di valute virtuali. “

Mentre la BCE continua a metterla giù dura con il Bitcoin, dall’altro lato la stessa banca centrale ha fatto propria l’intenzione di adottare la sua tecnologia di base. Un recente rapporto della BCE infatti, prende in considerazione varie applicazioni della blockchain, soprattutto per quanto riguarda le procedure contro il riciclaggio di denaro sporco. Il rapporto intitolato “Distributed Ledger Technologies nella sicurezza del post-trading – Rivoluzione o evoluzione?” elenca il potenziale impatto della tecnologia dei registri pubblici distribuiti (blockchains) su diversi livelli di post-trading (sui contratti e sui livelli di custodia ). Si accenna anche al potenziale impatto della tecnologia blockchain sull’ eGovernance e l’efficienza interna delle istituzioni. La visione della BCE su Bitcoin e sulla sua tecnologia di base non è nuova, molte banche centrali condividono infatti la stessa opinione. Sono tutti alla ricerca  di poter sfruttare i potenziali vantaggi della tecnologia blockchain ignorando i vantaggi offerti dal Bitcoin e dalle altre valute digitali, per timore di  dover rinunciare al loro controllo sul sistema monetario. Il problema è che non è così facile disgiungere Bitcoin o le altre criptovalute dalle loro blockchain. Se anche fosse possibile utilizzare i registri pubblici condivisi senza l’apporto valoriale della criptovaluta collegata , cosa che dubito possa essere realizzabile, assisteremmo sicuramente alla sostituzione della funzione notarile di molti servizi di garanzia forniti dallo Stato (contratti, identità, abilitazioni ecc.) a favore di tale servizio distribuito e decentralizzato con un notevole conseguente risparmio , ma l’ulteriore perdita di sovranità degli Stati Nazionali (ecco che si torna al piano Kalergi!). url

(La cancelliera tedesca Merkel durante la consegna del premio Kalergi)

Inoltre l’eventuale efficacia di queste blockchain non farebbe altro che valorizzare ancor di più il Bitcoin quale primo esperimento riuscito di tale tecnologia, cosa sicuramente non gradita alle lobbies finanziarie rappresentate dalla BCE. La strada per chi ha a cuore un’ Europa diversa da quella prefissata dai poteri forti del Nuovo Ordine Mondiale è dunque fortemente legata al successo ed alla sempre maggior diffusione del Bitcoin in quanto valore largamente riconosciuto e moneta decentralizzata capace di riconsegnare piena libertà economico-finanziaria e vero progresso sociale ai cittadini europei sempre più distanti dalle loro istituzioni e guide politiche.

COME VOLEVASI DIMOSTRARE: IL BITCOIN NON E’ TASSABILE . PAROLA DI AGENZIA DELLE ENTRATE

02/09/2016

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L’Agenzia delle Entrate si è finalmente decisa a rispondere agli interpelli di cittadini privati ed imprese che chiedevano lumi a proposito del trattamento fiscale dovuto per chi svolge attività di cambio in criptovalute (Bitcoin). Su questo argomento mi sono trovato spesso a “litigare” con colleghi , amici e soloni vari in quanto ho sempre espresso con forza il concetto che il Bitcoin esiste anche  per rivoluzionare il rapporto di sudditanza che il cittadino (e quello italiano è in prima fila) ha verso le istituzioni che invece dovrebbero essere al suo servizio (e non il contrario). La sua natura decentralizzata , pseudoanonima e sfuggente è così anche perchè i suoi creatori, restituendo finalmente la libertà economica e finanziaria a chi lo possiede, hanno cambiato anche l’approccio che una persona libera finanziariamente, ha nei confronti dell’imposizione fiscale.  Si passa cioè di fatto dall’ obbligo assoluto e incontestabile di pagare le tasse (con la tracciatura dei patrimoni e persino degli stili di vita),  al “pago le tasse che ritengo giuste”. E in uno Stato vampiro e sempre inadempiente come l’Italia, ciò ha una funzione di riequilibrio notevole in questo rapporto con il cittadino. La questione dell’interpello all’Agenzia delle Entrate non andava nemmeno posta quindi a mio parere, perchè è fin troppo chiaro, che non avendo alcun riconoscimento giuridico del suo status o essendo comunque molto difficile da definire per la sua natura  contemporanea di valuta, sistema di pagamento e asset finanziario, il Bitcoin non ha le caratteristiche per essere regolato al di fuori del suo potente algoritmo e perciò tanto meno tassato.  Già un sentore di tali difficoltà si era percepito quando, nel gennaio 2014 l’on. Boccadutri (Sel) propose in sede di finanziaria  una forma di riconoscimento del Bitcoin e il suo emendamento non fu nemmeno preso in considerazione in quanto “l’Italia non ha più sovranità monetaria” (così ,in parole spicciole, rispose l’allora Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati) demandando perciò all’UE – EBA il compito di emettere una qualche direttiva in tal senso.  Ebbene, l’Europa ha battuto un colpo appena nell’ottobre 2015 decretando in maniera solonica che, nonostante Bitcoin non possa essere considerato valuta a corso legale, gli scambi tra questo e le valute fiat (euro, dollaro, sterlina, rublo, yen, uan ecc.) sono da considerarsi come operazioni esenti IVA. Un segnale chiaro di quanto da me sostenuto, purtroppo molti “asini ” hanno anche i paraocchi e si ostinano a fare i “bravi cittadini che pagano le tasse” anche quando non serve.  La risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate   e il seguente comunicato sembra definitivamente (temo però solo per ora) chiudere la questione a favore delle mie convinzioni.

AdElogo

Ufficio Comunicazione

COMUNICATO STAMPA

Acquisto e vendita di bitcoin e monete virtuali
In una risoluzione i chiarimenti delle Entrate sul trattamento fiscale

Esenzione Iva per le operazioni di cambio di bitcoin.

Le attività di intermediazione di valuta tradizionale con moneta virtuale svolte dagli operatori del mercato non scontano l’Iva in quanto rientrano tra le operazioni relative a banconote e monete. Per i clienti persone fisiche, invece, che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si tratta di operazioni a pronti che non generano redditi imponibili perché manca la finalità speculativa. Sono questi i principali chiarimenti della risoluzione n. 72/E pubblicata oggi, con cui l’Agenzia delle Entrate, in linea con i recenti orientamenti della Corte di Giustizia dell’UE, illustra il trattamento fiscale da applicare a chi svolge attività di acquisto e cessione a pronti di moneta virtuale in cambio di valuta “tradizionale”.

Imposte dirette e Iva – Il documento di prassi precisa che le operazioni relative ai bitcoin sono prestazioni di servizi esenti da Iva. Sul piano della tassazione diretta, invece, i ricavi che derivano dall’attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di bitcoin sono soggetti ad Ires ed Irap, al netto dei relativi costi. Per valutare i bitcoin di cui la società dispone a fine esercizio occorre considerarne il valore normale, cioè la loro quotazione in quel momento.

Niente oneri da sostituto d’imposta – Per quanto riguarda i clienti persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, la risoluzione chiarisce che si tratta di operazioni a pronti che non generano redditi imponibili perché manca la finalità speculativa. Ne deriva che gli operatori non sono tenuti agli adempimenti tipici dei sostituti d’imposta. Resta ferma la facoltà dell’Agenzia, in sede di controllo, di acquisire le liste della clientela per le opportune verifiche.
Roma, 2 settembre 2016

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Qualcuno obbietterà   che a livello di impresa è invece tassabile eccome.  In realtà pensandoci bene, nella quasi totalità dei casi le attività di impresa sono interessate al bitcoin in quanto sistema di pagamento senza costi ( al contrario dei servizi bancari, POS e carte di credito) parificabile alla ricezione di un pagamento in contanti e con  tempi pressochè nulli di ricezione.  Sono quindi più interessati , per offrire questa opportunità di pagamento ai loro clienti, ad un processore di pagamento stile BitPay o GoCoin  che accetti bitcoin per loro e giri sul conto corrente aziendale il controvalore in euro, che a detenere un certo numero di bitcoin da contabilizzare a fine esercizio annuale. Per la piccolissima minoranza che svolge attività finanziaria di brokeraggio o similis, il Bitcoin invece non rappresenta contabilmente, nè più nè meno di qualsiasi altro prodotto finanziario da trattare ai fini fiscali in relazione a plus o minus valenze generatesi durante l’esercizio annuale.

Sarebbe interessante conoscere nel corso di eventuale “opportuna verifica” quale sia la  quotazione bitcoin di riferimento presa in considerazione dall’Agenzia delle Entrate, atteso che notoriamente il bitcoin vale quanto uno è disposto a pagarlo ed un altro a venderlo e che risulta facilissimo quindi far risultare delle perdite anche dove ci sono guadagni. Alla luce di quanto espresso, anche sulle imprese, il trattamento fiscale ai fini IRES – IRAP mi appare perlomeno aleatorio.

Gavrilo


Aggiornamento del 07/09/2016

Oggi un articolo di Marco Piazza sul ilsole24hlogo  dal titolo :

Le operazioni in Bitcoin non tassabili come le banconote

 

interviene coerentemente alle mie posizioni… Potete leggerlo cliccando sul logo del quotidiano

Banca d’Italia dà il “nulla osta” all’esplorazione dei Bitcoin

Cattura

Dialogo con le banche per sviluppare la Blockchain, la tecnologia sottostante la moneta digitale. Un seminario

di Alberto Brambilla | 22 Giugno 2016 ore 06:15

Roma. La Banca d’Italia ha mostrato una posizione neutrale e aperta verso gli intermediari bancari che intendono usare la tecnologia Blockchain. La nuova tecnologia che promette di cambiare il sistema con cui si possono effettuare transazioni finanziarie nel prossimo futuro è stata l’argomento del seminario “La tecnologia Blockchain: nuove prospettive per i mercati finanziari” tenutosi ieri mattina presso la sede di Roma della Banca centrale e riservato a funzionari di Palazzo Koch, operatori di mercato, accademici e banchieri.


Ignazio Visco (foto LaPresse)

Il governatore Ignazio Visco ha aperto i lavori (aveva un discorso preparato, ma sovente ha parlato a braccio) affermando che le innovazioni, in quanto tali, implicano cambiamenti, a volte repentini e a volte lunghi, ma con i quali si deve comunque fare i conti. Persone presenti alla conferenza a porte chiuse riferiscono che Visco ha parlato della Blockchain come la promessa di una rivoluzione epocale di cui però al momento non è chiara l’entità e per questo è da seguire con attenzione. Visco avrebbe detto di non essere un fan della Blockchain com’è stato riportato dalla stampa – con una battuta ha replicato di essere tifoso solo della Sampdoria.

ARTICOLI CORRELATI Così emerge il potenziale del blockchain che piace alle banche, ai consumatori e agli innamoratiEcco perché è troppo presto per regolare il Bitcoin. Parola di Deloitte. Europa e Stati Uniti ora divergono sulla natura dei bitcoinLa Banca d’Italia s’è detta comunque aperta alla discussione con gli intermediari. Domenico Gammaldi, condirettore centrale e capo del Servizio supervisione sui mercati e sul sistema dei pagamenti, chiudendo il seminario ha detto che per l’Istituto non è possibile regolamentare l’uso della tecnologia e che verranno esaminati i progetti che qualunque intermediario vorrà sottoporre. A quel punto ci si chiederà: che obiettivi si pone un ipotetico progetto? Che problemi ha? Quale forma societaria vuole darsi? Una new company o una realtà ibrida? Per Banca d’Italia entrambe le strade sarebbero percorribili, senza preconcetti. Secondo Gammaldi, l’importante è tutelare la difesa dei risparmiatori e garantire l’interoperabilità delle piattaforme di pagamento.

Le istituzioni finanziarie e i regolatori dei mercati finanziari (Esma, Iosco) e monetari (Federal reserve, Bank of England, Banca centrale europea, Bank of Canada) in tutto il mondo sembrano desiderosi di sfruttare la tecnologia Blockchain, ultimamente esaltata dai media. La Blockchain funziona come un libro mastro digitale che registra le transazioni tra due o più soggetti quando esse sono validate da una moltitudine di entità che per il loro lavoro di autentificazione delle operazioni vengono remunerate in bitcoin, la più popolare e diffusa valuta virtuale nata nel 2008. La Blockchain è affascinante perché renderebbe possibile bypassare le autorità centralizzate, dalle banche agli studi notarili. I sostenitori ritengono che la Blockchain possa abbassare di miliardi di euro i costi delle transazioni finanziarie per le banche e attenuare i ritardi burocratici nelle contrattazioni. Gli scettici, moderando l’entusiasmo, evidenziano alcuni problemi.

Ferdinando Ametrano, intervenuto a titolo accademico in qualità di professore dell’Università Bicocca di Milano (è anche Head of Blockchain and virtual currencies in Intesa Sanpaolo), è critico della Blockchain senza Bitcoin. Ametrano ritiene infatti che questa tecnologia abbia senso solo come supporto al bitcoin, la moneta privata che rappresenta l’oro digitale. Nella sua presentazione (disponibile qui) Ametrano ha ridimensionato la vulgata secondo la quale la Blockchain è un sistema di certificazione diffusa applicabile in qualsiasi contesto a prescindere dal Bitcoin. Per Ametrano la creazione di un libro mastro non può esistere senza che la comunità di soggetti che validano le transazioni sia remunerata per farlo con un asset nativo digitale presente in quantità finite, come appunto è il bitcoin. Pensare questo significa compiere lo stesso errore logico che nel 1994 commettevano gli imprenditori che volevano andare online senza andare in internet. Senza contare che un libro mastro al quale si aggiungono dei “blocchi” di transazioni non consente la correzione di eventuali errori o potenziali frodi; la Blockchain a differenza di un normale database informatico aperto non consente modifiche retroattive. Paolo Tasca, direttore del Centre for Blockchain Technologies della University College di Londra, è sembrato invece ottimista su un Blockchain funzionante a prescindere da un asset digitale sottostante per una molteplicità di operazioni che disintermediano un’autorità istituzionale – dal catasto, al trading, all’anagrafe per esempio. Al seminario erano presenti top manager di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Banca Sella. Daniele Savarè, Head of product line cash management di Unicredit, ha spiegato che la sua banca ha cominciato a fare prove concrete sulla trasmissione di valore attraverso nuove tecnologie. Mario Costantini, Chief innovation officer di Intesa Sanpaolo, ha detto che il suo istituto valuta sia le Blockchain che operano con asset digitali nativi (pubbliche e permissionless, senza permesso, come Bitcoin) sia quelle senza asset (private e permissioned, che richiedono controllo dei regolatori). Unicredit e Intesa fanno parte con altre 40 banche del consorzio R3, società di servizi tecnologico-finanziari che studia le ricadute pratiche del Blockchain. Pietro Sella, amministratore delegato del Gruppo Sella, ha sollevato il tema dell’unità digitale di valore, toccando quindi i collegati dirompenti temi monetari.

CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA: NO IVA SU BITCOIN VALUTA VIRTUALE

Intestazione blog

Corte di giustizia Ue. Una sentenza qua­lifica lo «strumento» come una valuta
I servizi relativi al «bitcoin» sono pre­stazioni esenti Iva

La notizia è ormai nota da qualche giorno (22/10/2015) perciò ho deciso di pubblicare una sintesi piuttosto chiara di quale significato assuma tale decisione lasciando a ognuno le conclusioni da trarre. Gavrilo

La ­Corte di giustizia Ue ­risolve in modo semplificato le question­i sulla natura finanziaria delle operazioni­ relative al ­“bitcoin”.­ Con la sentenza di giovedì scorso relativa alla c­ausa C-264/14, la Corte chiarisce che il­ bitcoin può essere considerato come una­ valuta virtuale, utilizzata per lo scam­bio di beni e servizi sul web, sostenend­o che le prestazioni di servizi a essa r­elative rientrano nel campo di applicazi­one dell’Iva­, seppur ­esenti.­ In precedenza l’inquadramento di Bitcoin ai fini fiscali variava da Stato a Stato, con alcuni che lo consideravano esente da IVA come la Finlandia e la Spagna ed altri che richiedevano che la valuta dovesse essere inquadrata secondo le leggi in vigore per le valute fiat. Ora l’esenzione verrà applicata su tutto il territorio europeo in quanto lo scambio di bitcoin è stato formalmente dichiarato esente da IVA.
Gli esperti Iva­ ­
La posizione della Corte di giustizia U­e anticipa anche le conclusioni di una discuss­ione che era già stata introdotta lo sco­rso anno dal Regno Unito e che è stata o­ggetto di analisi sia da parte del Comit­ato Iva che del Gruppo europeo degli esp­erti Iva (Veg). La discussione verteva s­ul fatto se il bitcoin potesse essere co­nsiderato o meno come una valuta e quale­ dovesse essere il trattamento ai fini I­va. Il dubbio nasce dalla natura del bit­coin che, a differenza delle valute trad­izionali, non fa riferimento a un ente c­entrale che lo regolamenti, ma utilizza ­una piattaforma che tiene traccia delle transazioni e gestisce gli aspetti funzi­onali, quali la creazione di nuova monet­a e l’attribuzione della proprietà. In p­articolare, il dubbio era quello di defi­nire il bitcoin come una moneta elettron­ica, come una valuta, come uno strumento­ finanziario, come un voucher ovvero com­e un bene digitale. A seconda della qual­ifica che si intende attribuire al bitco­in, cambia il relativo trattamento ai fi­ni Iva. Infatti, in caso di valute o mon­eta elettronica, i relativi servizi a es­so riconducibili sarebbero esenti da imp­osta. Al contrario, definire il bitcoin ­come un bene virtuale comporterebbe il f­atto che i servizi a esso relativi sareb­bero soggetti a Iva con aliquota ordinar­ia.
La discussione da parte del Comitato Iv­a e del Gruppo di esperti Iva non era gi­unta ancora a una conclusione condivisa.­ La pronuncia della Corte di giustizia U­e costituisce quindi un punto fermo per la soluzione del problema.
La decisione della Corte­ ­
La Corte parte da un quesito posto da u­n soggetto svedese che intende acquistar­e bitcoin direttamente da privati e soci­età o da una piattaforma di cambio inter­nazionale, per poi rivenderli sulla piat­taforma stessa ovvero depositarli su uno­ spazio di archiviazione.
Per la definizione della questione, la ­Corte di giustizia Ue parte dalla posizi­one dell’avvocato generale e della Banca­ centrale europea che definisce il bitco­in come una «moneta virtuale» a flusso b­idirezionale, che gli utenti possono acq­uistare e vendere in base ai tassi di ca­mbio. Secondo la Bce tali valute virtual­i sono simili a ogni altra valuta conver­tibile, per quanto riguarda il loro util­izzo nel mondo reale, e consentono l’acq­uisto di beni e servizi sia reali che vi­rtuali. Precisa, inoltre, la Corte che l­e valute virtuali sono diverse dalla mon­eta elettronica in quanto, a differenza ­da tale moneta, nel caso delle valute vi­rtuali i fondi non sono espressi nell’un­ità di calcolo tradizionale, ad esempio ­in euro, ma nell’unità di calcolo virtua­le, ad esempio il bitcoin.
Pertanto, anzitutto la Corte risolve la­ prima questione relativa al fatto che i­l bitcoin non può essere considerato com­e un bene virtuale, come invece sostenev­a il Governo svedese, e la relativa acqu­isizione non costituisce una cessione di­ beni. Successivamente, la Corte qualifi­ca il bitcoin come una valuta, un mezzo ­di pagamento: per questo motivo i serviz­i a esso relativi si considerano prestaz­ioni di servizi esenti da Iva. Qui i dettagli del questito posto dall’Avvocatura Generale UE alla Corte e le conclusioni che troverete una volta pubblicate.

L’Unione Europea risponde: IVA non applicabile per gli scambi in Bitcoin

UncleScrooge
Ecco il link dove viene trattato in maniera approfondita la sentenza con cui l’Unione europea risponde ai quesiti di applicabilità dell’IVA sugli scambi in bitcoin.
Buona lettura!

16/07/2015 Conclusioni dell’ avvocato generale UE: bitcoin esente da IVA/

Niente IVA sui Bitcoin in Svizzera – 12/06/2015

12 Giugno 2015

Niente IVA sui Bitcoin in Svizzera

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Anche se la notizia ha ormai una quindicina di giorni, ritengo che sia utile riportarla perchè aggiunge un altro tassello all’orientamento prevalente dei governi e delle giurisdizioni europee riguardo alla criptovaluta ed alla possibile applicabilità di una tassazione su di essa. La cosa non è per niente banale in quanto uno dei maggiori pregi, ma anche delle maggiori fonti di difficoltà ad inquadrarla, è la capacità del Bitcoin di essere contemporaneamente moneta (pur con volatilità importante), asset o prodotto finanziario (azioni-shares tassabili per capital gain o con imposte sul valore aggiunto) e strumento di pagamento (alla pari e addirittura meglio di carte di credito, paypal, bonifico ecc.) Diversamente da quanto pare sia l’orientamento USA dove, tentativi di regolamentazione ed inquadramento del BTC come bene soggetto a tassazione, sull’esempio della Bit Licence adottata in quel di New York che sta però provocando la fuga degli operatori da quel territorio, in Europa del nord (Baltici e Scandinavia), così come recentemente in Spagna, l’orientamento è invece quello di non considerarne l’aspetto di bene o prodotto ivabile, evitando che ciò incida pesantemente sul suo valore complessivo e conseguentemente sullo scambio e sulla sua diffusione . Ora quindi anche la Svizzera pare orientata verso questo atteggiamento e a riportarcelo è l’Associazione Bitcoin Svizzera che ha pubblicato un comunicato che di seguito riporto:

“Ci sono ottime notizie dalla Ufficio Imposte Federale Svizzera (ESTV): sui Bitcoin in Svizzera l’IVA non si applica.

‘Questa è un’ottima notizia per i Bitcoin in Svizzera in quanto fornisce la certezza del diritto sulla quale dobbiamo operare professionalmente il nostro business’,  commenta Niklas Nikolajsen, CEO di Bitcoin Suisse AG.

Nel mese di febbraio 2014, un gruppo di tre organizzazioni svizzere sul Bitcoin ha scritto congiuntamente una richiesta formale per l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) per chiarire la situazione giuridica di Bitcoin per quanto riguarda l’IVA.

Fondamentalmente il quesito era se il trasferimento di Bitcoin costituisca  una consegna di beni o servizi soggetto a IVA. Fortunatamente la risposta dell’erario federale è:  nessuno dei due.
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Così, i Bitcoin sono trattati esattamente come altri mezzi di pagamento. Una società che vende Bitcoin non ha bisogno di applicare l’IVA. I Bitcoin sono riconosciuti e presi in considerazione come le altre valute, quando vengono utilizzati per l’acquisto di beni o servizi. Questo significa che pagare una pizza con Bitcoin non è un baratto e non può innescare doppia imposizione. Bitcoin La negoziazione di Bitcoin con franchi svizzeri è valutata invece come scambio di moneta legale contro un mezzo non ufficiale di pagamento – simile allo scambio di franchi svizzeri per euro. Inoltre, le spese di transazione praticati dalle aziende come Bitcoin Suisse AG sono coperti dalle deroghe di cui all’articolo 21 comma 2 della legge IVA svizzera e sono quindi IVA esenti.

Luzius Meisser, presidente dell’Associazione Bitcoin Svizzera, afferma: ‘Questo è il modo più ragionevole per classificare Bitcoin nel contesto dell’IVA e siamo fortunati che l’amministrazione fiscale è d’accordo con la nostra visione. Bitcoin è una moneta, e quindi dovrebbe essere trattata come una valuta ‘.

‘Trattare pagamenti Bitcoin proprio come qualsiasi altra forma di pagamento è una pietra miliare per il Bitcoin nell’economia svizzera ed arricchisce l’ecosistema globale del denaro digitale’ ha aggiunto Bernhard Kaufmann, il Direttore Generale di Moving Media GmbH.

Per l’Unione europea, di cui la Svizzera non fa parte, la questione è ancora in sospeso, con la Corte di giustizia europea in procinto di una audizione sulla questione il 17 giugno, secondo Bitcoin.se.  Mathieu Buffenoir, vice-presidente dell’Associazione Bitcoin Svizzera, commenta: ‘Ci auguriamo che la decisione svizzera possa servire come fonte di ispirazione per l’Europa.’

Disclaimer: tecnicamente, questa risposta è solo giuridicamente vincolante per le parti che hanno fatto la domanda – ma una risposta diversa per gli altri è improbabile grazie al principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge. Questa decisione potrebbe anche essere impugnata in tribunale, cosa che nessuno intende fare. Inoltre,  il presente comunicato stampa è libero e senza supervisione di un ufficio legale. “

Gavrilo

A New York il Bitcoin è esentasse – Marco Viviani -WebNews 09/12/2014

Un’altra vittoria per il Bitcoin, a mio parere… La vera libertà è con il Bitcoin, si passa dallo “STATO che ti OBBLIGA a pagare le tasse” a “paghi allo Stato le tasse CHE VUOI (solo ciò e quanto ritieni giusto)”, praticamente la via per demolire gli Stati Nazionali. Nel link qui sotto l’articolo di Marco Viviani per WEBNEWS sembra confermare che anche gli Yankees si sono arresi all’evidenza… Gavrilohttp://www.webnews.it/2014/09/24/paypal-introduce-il-supporto-ai-bitcoin/A New York il Bitcoin è esentasse

Lo Stato di NY stabilisce che le crittomonete non sono soggette alla tassazione sul valore e sono beni intangibili: scambiarle è come il baratto.

, 9 dicembre 2014, 16:36

Ai fini fiscali, le crittomonete sono beni intangibili, scambiarle è come il baratto e sono esenti da Iva. Questo è stato stabilito dallo stato di New York, che pochi giorni fa ha chiarito un aspetto sul quale c’era un grande interrogativo. In quello stato americano, dunque, le operazioni sui Bitcoin come su tutte le altre monete virtuali saranno esentasse.

Bella forza, direbbe qualcuno: il documento del governo newyorchese non poteva certo modificare la natura fortemente anti-statuale della crittovaluta, ma è pur vero che queste monete sono anche convertibili, e con esse si possono anche acquistare beni e servizi (ma non pagare le tasse). Così la risposta del governo di uno degli stati frontiere delle crittovalute ha scritto nero su bianco:

L’uso da parte di un cliente di moneta virtuale convertibile per pagare beni o servizi forniti a New York è trattato come una operazione di baratto. Ai fini fiscali delle vendite, la moneta virtuale è una proprietà immateriale. Dal momento che l’acquisto o l’uso di un bene immateriale non è soggetto a imposte sulle vendite, qualsiasi moneta virtuale convertibile ricevuta da una parte di una operazione di baratto non è soggetta ad IVA.

Un chiarimento per i commercianti, una presa in giro per la community

La questione nasceva dalla necessità di chiarire le procedure esatte per i commercianti che desiderano utilizzare le monete virtuali nelle loro operazioni di vendita, uno degli infiniti scenari di transizione di denaro che più avevano destato una sana curiosità negli addetti ai lavori e nel mondo dell’economia reale. Viene risolta in questo modo: dato per assodato che un venditore accetta monete virtuali per l’acquisto di un bene materiale che dovrà registrare al momento della vendita, le tasse sono sul valore di quell’oggetto in dollari, dunque che sia necessario convertire altre monete non ha rilevanza, perché il venditore dovrà comunque pagare sull’imponibile dettato dalla vendita di un bene che ha un valore stabilito in moneta corrente. Tuttavia, alla community, scottata dalle proposte sulla licenza Bitcoin di qualche mese fa, il comunicato appare come parziale e ipocrita. David Mondrus di CoinTelegraph, è molto critico:

La legge si applica solo ai residenti di NY. In secondo luogo, gli adempimenti fiscali sono notoriamente bassi per gli acquisti su internet. Terzo, le operazioni di questo tipo sono rare nel mondo fuori dai Bitcoin, e quindi nel complesso per la maggior parte dei consumatori e dei commercianti, quasi assicura che il rispetto di questa sentenza sarà altrettanto vago.

Le contraddizioni

Mentre lo stato di NY stabilisce queste pratiche minime, al Senato è attualmente in esame una legge che stabilirebbe un protocollo univoco per l’uso di queste monete, che manterrebbe le esenzioni fiscali ma, in contrasto con la dichiarazione di New York, tratterebbe le monete virtuali come valuta e non come proprietà. Per farsi un’idea basta leggere i commenti su Reddit per capire che la community dei bitcoiners non è soddisfatta di queste dichiarazioni e sostanzialmente guardinga.