Bitcoin Bancomat in Italia secondo Repubblica.it – 22/10/2014

Nuovo articolo di Repubblica.it: con la scusa di fare un quadro della situazione dei Bitcoin ATM italiani si cerca di dipingere una situazione da Far West e spingere verso una legislazione che ostacolerebbe solo la diffusione delle criptovalute.


Non abbiamo bisogno di regole ed altre tasse grazie, ci basta l’algoritmo di Satoshi! Necessitiamo invece di una legge che protegga chi opera e usa le bitcoin da truffatori e ladri esattamente come operante nel Regno Unito che la giornalista non cita.

Gavrilo

da Repubblica.it

Cinque bancomat bitcoin in Italia: “Tanta curiosità,  poche transazioni, nessuna regola”

Quante persone li hanno già usati per cambiare i loro euro in criptovaluta virtuale?  Quali sono – se ci sono – le regole che seguono? Repubblica.it ha provato a capire la situazione parlando con tutti i proprietari di questi servizi presenti sul nostro territorio

di ROSITA RIJTANO – 20 ottobre 2014

La vita al tempo dei Bitcoin

 Cinque bancomat bitcoin in Italia: "Tanta curiosità,  poche transazioni, nessuna regola"

CI si può ormai pagare di tutto. Dal barbiere al caffè. Piano piano bitcoin, la criptovaluta virtuale creata da Satoshi Nakamoto, sta sgranocchiando sempre più fette di mercato reale. Si moltiplicano i negozi che l’accettano, per trovarli basta andare su CoinMap.org o scaricare l’androidiana QuiBitcoin, dedicata al nostro Paese. Così come i modi per acquistarla velocemente. Sono conosciuti come Bancomat, Atm, o vending machine. Sintetizzando: sono degli oggetti che scambiano euro, o altre valute, in bitcoin. Seguono dinamiche a volte diverse, ma hanno un obiettivo comune: diffondere la tecnologia. Usandoli, anche chi non ha particolari competenze informatiche, può ottenere moneta matematica. Basta scaricare un’app, a volte seguire un processo di autenticazione, inserire banconota et voilà, il gioco è fatto. Tutto in meno di dieci minuti. Senza dover seguire la trafila, spesso farraginosa, che impone la registrazione su una delle tante piattaforme di exchange presenti online. E che richiede tempi più o meno lunghi.

Il primo ha fatto la sua comparsa a Vancouver, in Canada, dentro a un coffee shop. Un negozio di dischi, nella stazione di Helsinki, in Finlandia, è stata la prima tappa europea. Nel mondo, al momento, se ne contano circa 200. Cinque le principali aziende che si spartiscono il grosso del mercato: Lamassu, Robocoin, Bitaccess, Skyhook e Genesis1. In Italia, invece, sono cinque le macchine del genere censite su Coinatmradar, la cartina consultabile sulla rete che permette di trovare questo tipo di Atm ovunque. Più una è in arrivo a Milano. Fino ad ora hanno suscitato grande curiosità. Ma quante persone le hanno già usate per scambiare i loro euro in bitcoin?  Quali sono – se ci sono – le regole che seguono? Repubblica. it ha provato a capire la situazione telefonando a tutti i proprietari di questi servizi di scambio presenti sul nostro territorio.

Poche transazioni: “Manca una mentalità high tech”. Si parte dall’Emilia Romagna, in un’attività commerciale che vende scarpe da tennis, skateboard e abbigliamento. Un negozio frequentato soprattutto da giovani che ha aderito al circuito Bitpay e accetta questa nuova forma di pagamento. Una volta entrati, quindi, è teoricamente possibile mettere giù le mani dal portafogli e impugnare lo smartphone. Lo usano? “Abbiamo fatto un paio di transazioni”, risponde il proprietario Claudio Avanzini, “c’è molta curiosità. La gente si ferma, chiede informazioni. Purtroppo, però, quando una cosa è nuova, e non si conosce, ci sono sempre dei timori: si ha paura di perdere i propri soldi”. Avanzini ha fatto di più: ha deciso di ospitare nei locali del suo punto vendita un marchingegno che converte euro in Bitcoin.

Inaugurato il sei settembre scorso, adesso è guasto, ma – assicurano – sarà riparato a breve. A gestirlo sono due ragazzi: Marco Argentieri e Fabio Guercio, di 19 e 22 anni. Un anno fa hanno dato vita a ReggioBit per promuovere la criptovaluta nel loro territorio. Prima scambiavano i bitcoin di persona, incontrando gli acquirenti, con cui prendevano appuntamento tramite il  loro sito. Poi, con il supporto di un’azienda londinese, Bitroad, sono riusciti ad aver in concessione uno Skyhook: una sorta di Atm portatile dal software open source. E ad automatizzare il processo. Racconta Argentieri: “Dal denaro scambiato tratteniamo il dieci per cento che ripartiamo con il negozio e Bitroad. Tutto ciò che posso dirti è che il primo giorno abbiamo superato le dieci operazioni, la stessa quantità che di persona facevamo in un anno. Un piccolo successo. Per noi è stata soprattutto un’operazione di marketing, vogliamo far conoscere la criptovaluta a livello locale. Abbiamo persino fatto una campagna di volantinaggio. Se fossimo in Silicon Valley sarebbe diverso, c’è una mentalità più orientata verso l’high tech. Qui se non fai comunità, se non informi, sarebbe un investimento quasi buttato all’aria. C’è poca domanda intrinseca. L’Italia è lentissima ad adottare le nuove tecnologie”.

LA VITA AL TEMPO DEI BITCOIN

Luca Dordolo, che dal 20 febbraio scorso ha attivato una Lamassu a Udine, punta il dito contro produttori di beni e servizi. “Fino a che usandolo non si potrà, ad esempio, pagare la luce è difficile che il bitcoin abbia una diffusione più ampia”. Per Dordolo il bancomat è solo uno strumento. “Parliamoci chiaro:  la criptovaluta non ha bisogno di un Atm, viaggia sul web. Si tratta di un modo per renderlo più user friendly, amico dell’utente, e avvicinarlo alla massa. La mia non è un’attività a scopo di lucro, ma sperimentale. Applico una commissione che varia. Dal 5 al 20 per cento: aumenta se si abbassa il valore del bitcoin e viceversa. Quante transazioni ho fatto fino ad ora? Circa un centinaio. Da quante euro ciascuno? Non posso dirglielo. C’è chi ha cambiato 5 o 20 euro, per provare. Chi cinquecento”.

“Non credo rientrerò mai nelle spese”, confessa Fausto Soriani, informatico, con la passione per l’economia, proprietario di un’altra Lamassu. Un investimento da oltre 5mila dollari, più Iva e spese di spedizione. L’installazione in un negozio di computer, a Pisa, il 25 giugno scorso. Risultati: fino ad ora il valore delle transazioni ammonta a poche migliaia di euro. “Che per me corrispondono solo a decine di euro riguardanti le commissioni”, precisa. Anche se non vuole rivelare la quantità esatta degli scambi effettuati né il tasso fisso che applica. A mancare per lui non è soltanto la cultura. Anche una qualche regolamentazione. Dice: “Oggi non si sa sotto quale fattispecie di leggi ricadano i bancomat bitcoin, o i bitcoin in generale. Se vadano applicate  le stesse regole usate per le valute, o i buoni acquisto. Credo che questo freni molto lo sviluppo dell’economia. Sono cose che farebbe piacere sapere prima. Potrebbero passare anni prima che si decida a legiferare in materia. Ma non sempre la tecnologia e gli investimenti possono aspettare”.

Deregulation. Certo, la mancanza di direttive non è solo un problema italiano. La criptovaluta virtuale è un fenomeno del tutto nuovo e, come tale, ha messo in crisi i legislatori del mondo. In Russia sono vietati. La Banca Centrale cinese ne ha bandito l’uso  all’interno delle istituzioni e nei sistemi bancari registrati, ma non tra privati. In Canada sono accettati e tassati, nello stato di New York è al vaglio un disegno di legge, la Germania li ha classificati come una moneta privata. Un vero far west. In Italia lo stato dell’arte ce lo sintetizza l’avvocato Lodovico Artoni, membro del board di CashlessWay, l’associazione nata per promuovere i pagamenti digitali. “Il governo”, riassume, “non sta facendo nulla. C’è un vero buco normativo. Il problema è a monte. Come possiamo classificare i bitcoin? È la prima domanda che dobbiamo porci. Se li consideriamo una valuta, gli Atm dovranno essere paragonati a dei cambia valute e sottostare a delle leggi particolari. Se li consideriamo un oggetto, invece, saranno equiparabili a delle semplici vending machine, cioè a quelle macchinette in cui inseriamo degli euro. Per, in cambio, ricevere bottiglie d’acqua. In questo caso, però, si tratterebbe di un’attività commerciale e andrebbe applicata l’Iva”.

Nel frattempo vige l’anarchia. O, meglio, ognuno si regolamenta come crede. Nessuno dei servizi da noi contatti ha ancora adottato delle misure fiscali. Alcuni identificano gli utenti, altri no. Mentre tutti non accettano transazioni in contanti superiori ai mille euro, nel rispetto della legge entrata in vigore dal 1 gennaio 2012 volta a contrastare il riciclaggio. Federico Pecoraro, con la sua Robocoin, la sola in grado di convertire euro in bitcoin ma anche bitcoin in euro, assicura di rispettare le direttive internazionali. La macchina propone un sistema di autenticazione basato su quattro step. Tra cui il riconoscimento della vena vascolare palmare che lui definisce “la password più sicura al mondo”. Posizionata a Roma, nella Stazione Termini, Robocoin Kiosk è l’Atm che lavora di più, stando alle stime che ha fornito Pecoraro: mille euro di criptovaluta scambiati al giorno, ma solo il 2 per cento di operazioni inverse. “Basta spacciatori di Bitcoin”, è il suo appello. “Serve una regolamentazione, ma ad hoc: i piani finanziari attuali non sono per nulla conformi a questa nuova tecnologia. Si dovrebbero riscrivere”.

Guido Baroncini Turricchia preferisce parlare di linee guida. E precisa: “La politica deve essere attenta se decide di legiferare perché con una regolamentazione troppo restrittiva si perderebbe totalmente il vantaggio competitivo  tecnologico del bitcoin”. Lui e Sebastiano Scròfina fanno parte di una società di consulenza dedicata al pianeta delle monete matematiche: CoinCapital. E hanno sviluppato hardware e software di una vending machine interamente progettata in Italia. Converte solo euro in bitcoin e non viceversa, ha all’attivo circa mille euro di transazioni, fatte per lo più durante la Maker Faire, ed è stata commissionata – per essere venduta in serie – da Stefano Mezzetti  di Bit- Wallet. Il primo olotipo si trova all’ingresso della sede romana di Working Capital, l’incubatore di startup di Telecom Italia. È l’unico sistema che abbiamo provato di persona, scambiando 20 euro. Funziona così: si crea un proprio wallet, cioè un portafogli digitale, installando un’app su smartphone o tablet. Poi si fa vedere alla macchina il codice QR fornito, che corrisponde al nostro Iban, si inserisce in banconote il denaro che si vuole convertire e si hanno i bitcoin.

Ma in futuro la distribuzione di criptovalute passerà attraverso i bancomat? Secondo Franco (nickname in rete HostFat) Cimatti, presidente della Bitcoin Foundation Italia, quello degli Atm ad hoc non è business molto proficuo. Commenta: “Mi aspetto che altri servizi già presenti sul mercato con dei propri bancomat facciano un semplice aggiornamento software e accettino bitcoin. Come è accaduto in Romania, dove ora ci sono più di 800 sportelli abilitati”. D’altra parte, secondo Cimatti, le piattaforme di scambio online sono più convenienti. “Hanno offerte migliori, perché si trovano in un regime di libera concorrenza, regolate  solo dalla legge della domanda e dell’offerta. E se qualcuno non deve pagare una grossa quantità di bitcoin, potrà avere dei vantaggi, pagherà giusto la commissione del servizio di cambio. Che in genere non supera  mai l’1 per cento”.

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